L’uso politico dell’architettura nella Turchia di Erdogan

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«A quel tempo nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo, né i pescatori, né i marinai, nel gente di Kumkapı. Io stesso non avrei mai potuto immaginare che queste fotografie in bianco e nero sarebbero diventate l’unica testimonianza di un mondo ormai andato perduto»: queste parole del leggendario fotografo turco, Ara Güler, morto a Istanbul nel 2018, racchiudono in sé il significato più importante del mio libro, L’oro della Turchia (Rosenberg & Sellier, 2020).

Chi arriva per la prima volta nella città della Mezzaluna trova una realtà in continua evoluzione, in movimento, con dinamiche che cambiano continuamente il suo skyline. Ci si trova spesso davanti a costruzioni avveniristiche, alcune già completate, altre in corso di realizzazione, altre ancora ferme a causa della grave crisi economica in cui versa il paese, oggi aggravata dalla pandemia. Il cambiamento fisico di Istanbul viaggia attraverso operazioni finanziare, investimenti, deregolamentazioni edilizie e speculazioni di ogni tipo.

Nell’ultimo ventennio, la metropoli sul Bosforo si è sviluppata in verticale, trasformata da amministratori ed investitori. Gli interessi di parte hanno primeggiato e le voci di dissenso sono state messe a tacere.

Le politiche neoliberiste e capitalistiche del governo Erdoğan hanno avuto tre effetti, concatenati l’un con l’altro, oggi estremamente visibili, soprattutto nella capitale economica del paese: la segregazione sociale, l’allargamento estremo della forbice sociale e la frammentazione spaziale. Questi concetti trovano una rappresentazione reale e concreta sia nel pullulare dei centri commerciali che nelle gated communities la cui dipendenza da servizi esclusivamente privati comporta una forte e ben visibile separazione sociale e una inevitabile disgregazione del tessuto cittadino.

La strategia politica di trasformazione della città di Istanbul ha un obiettivo temporale ben preciso: il 2023, anno delle elezioni presidenziali. Oltre alla disastrosa situazione economica in cui versa il paese, la persona che potrebbe infrangere piani del presidente turco è il nuovo sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu. Una cosa è certa però: i rapporti di forza sono ancora troppo sbilanciati per poter competere ad armi pari.

Così come Atatürk, anche Erdoğan capì fin da subito che il suo potere e l’eredità del suo impero passavano innanzitutto attraverso le trasformazioni fisiche concentrate nella capitale economica del paese. Il governo Akp avanzò, agli inizi del anni Duemila, nuove proposte di rigenerazione urbana con l’intento di dare un nuovo significato e attribuire nuovi valori allo spazio pubblico più importante e sentito della metropoli. Cambiare l’assetto urbano di una città comporta il cambiamento delle abitudini dei suoi cittadini. Non a caso i grandi uomini della Turchia hanno sempre parlato di modernizzazione della nazione partendo dalla modernizzazione della città. La presenza di una nuova moschea a piazza Taksim, realizzata nel 2018, simboleggia il reinserimento della religione nella sfera pubblica della società turca. L’Islam, “materialmente”, eliminato da questa piazza per lungo tempo, ora si ritaglia uno spazio al suo interno, come all’interno della nazione. L’idea di Recep Tayyip Erdoğan di demolire l’Akm, il centro culturale Atatürk a piazza Taksim, non è una scelta architettonica astratta, ma vuole essere un chiaro messaggio che illustri quale storia si debba rievocare e quale dimenticare. Sulla stessa scia, va inserita la tanto controversa riconversione a moschea di Santa Sofia.

Lo studio dell’urbanistica può essere un’utile lente non solo per comprendere la storia di una società ma anche per capire come essa stia evolvendo a livello sociale, politico ed economico. Il governo di Erdoğan ha certamente promosso una progressiva islamizzazione di un certo ambiente sociale, ma la vera rivoluzione che ha messo in atto non riguarda la religione, ma lo spazio urbano: ha trasformato interi quartieri, intere città, un intero paese. Oggi il vero banco di prova non è la tenuta del governo dopo le ultime elezioni amministrative, ma il modo in cui affronterà la crisi economica. Perché tutto questo impero, nasce, cresce e si nutre su queste fondamenta.