Massimo Cacciari: “Il fallimento storico del regionalismo italiani”

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Non so se dipenda da mia scarsa “sensibilità”, ma un cambiamento di passo nell’ affrontare la situazione da parte del governo Draghi non l’ ho finora notato. Certo, la campagna vaccinazioni non era stata, evidentemente, predisposta in modo efficace e dunque si è dovuto improvvisare. Resta il fatto che nel complesso delle inefficienze e disorganizzazioni burocratiche di cui l’ Europa ha fatto mostra noi risultiamo ai primissimi posti.

Per l’ ennesima volta è emerso il fallimento storico del regionalismo italiano, come l’ istituzione dell’ Ente Regione abbia finito col tradire le pur pallide istanze federaliste contenute nella Carta costituzionale. Ogni Regione procede secondo un concetto di “autonomia” sempre più stretto parente di quello di anomia, moltiplicando disuguaglianze nel trattamento di cittadini di uno stesso Paese.

Si levano voci che vorrebbero addirittura ricentralizzare la politica sanitaria, ignorando che ciò comporterebbe appunto riformare Costituzione scritta e materiale. Nonché trasformare l’ assetto delle forze politiche e i loro equilibri, poiché esse fondano le proprie fortune anche sull’ esistenza di questi catafalchi centralistici che chiamiamo Regioni. Su tutto questo il governo Draghi c’ entra davvero poco o nulla e non saranno certo le Banche centrali a fare quelle riforme, a prender quelle decisioni audaci, senza cui le membra d’ Italia continueranno a “corrompersi”.

Altro si dovrebbe esigere, o almeno dovrebbero esigere le categorie interessate, le imprese e i cittadini più drammaticamente colpiti dal maledetto virus. Equità in aiuti, sussidi, ristori (lasciamo perdere il lessico), anzitutto. Spiegare come si intenda far fronte allo straordinario aumento del debito che questi aiuti comportano e comporteranno.

Non lo si ripeterà mai abbastanza: non siamo affatto “tutti sulla stessa barca”, come ripete la insopportabile retorica dominante; la pandemia moltiplica disuguaglianze di ogni genere, su alcune delle quali è ben difficile intervenire, su altre invece doveroso. Doveroso è rimediare all’ iniquità palese nella distribuzione dei sussidi, già comunque ora del tutto insufficienti.

Il governo Draghi ha fatto bene ad allargare la platea di coloro che dovrebbero “ristorarsi” dei “ristori”, ma ora la torta non può restare uguale, né il metodo della sua spartizione. In base al calcolo attuale il “ristoro” incide percentualmente, per imprese che avevano un pari fatturato nel 2019, in misura maggiore per quelle che hanno subito una perdita minore. E si tratta comunque di incidenze incomparabili rispetto agli interventi garantiti in altri Paesi.

Né potrebbe essere diversamente vista la nostra situazione debitoria. Ma, allora, si dica quali manovre di bilancio vogliamo predisporre per ottenere i miliardi ancora necessari al sostegno di imprese e lavoratori. O l’ idea è di scaricare tutto su discendenza e debito, Europa e mercati permettendo?

Doveroso, inoltre, è contrastare l’ aggravarsi delle disuguaglianze sociali e di genere che la crisi produce. Qui diventa centrale il problema della scuola. Si prendano tutte le iniziative necessarie, si facciano tutti gli investimenti per la sicurezza in aule, trasporti, si vaccini il vaccinabile, ma le scuole devono restare aperte.

Non è solo il fatto che a distanza non si fa scuola, ma che stando a casa allora sì la “distanza sociale” predicata per ogni dove trionfa in pieno. Tra chi segue o finge di seguire la sua lezione in una stanza tra fratelli e parenti e magari “connesso” precariamente, e chi dispone di ogni utile servizio.

“Distanza sociale” intollerabile tra i giovani, e ancora di più tra le madri, tra quelle senza aiuto e quelle che possono “godere” del nostro solito “welfare famigliare”, tra quelle che devono scalare un Everest quotidiano per combinare lavoro fuori e cura dei figli in Dad, e quelle che hanno i mezzi per pagarsi tutti i sostegni desiderati.

Mi piacerebbe che nei nostri media accanto alle inevitabili notizie su morti e feriti per Covid e alle ininterrotte immagini di aguzzi aghi somministranti vaccini trovassero luogo anche dichiarazioni e interviste di medici psicologi, psicanalisti e pediatri sulla qualità attuale della vita di madri, bambine e bambini, sui gravi disturbi psichici che il perdurare della situazione va moltiplicando.

Per quanto, infine, riguarda i futuri provvedimenti, Dpcm o altro che dobbiamo attenderci fino al termine dell’ epidemia, mi auguro che Draghi e i suoi ministri diano un’ occhiata al recente saggio di un grande giurista, Natalino Irti, “Viaggio tra gli obbedienti”. Sì, obbedire necesse est.

Ma, imploro, che le norme da seguire siano finalmente sobrie e incisive, rispondano a un disegno razionale, permettano efficaci controlli. Le norme oscure e prolisse da cui siamo inondati da più di un anno sono specchio di incapacità di decisione. L’ inflazione di regole suscita solo sconcerto e accresce quel sovrapporsi di ordinamenti sul territorio nazionale che mandano in frantumi l’ unità del Paese, ancora più di quanto già non lo sia (si vedano gli impressionanti dati sull’ aggravarsi degli squilibri tra Nord e Mezzogiorno).

Draghi ci risparmi i decreti di 120.000 parole (13 volte la Costituzione) emanati dal Conte bis, decreti fatti di rinvii e deroghe, drammatici esempi di “legge, che non può essere né ascoltata né obbedita”. Così Natalino Irti: che nelle ore “della oscura minaccia” ci sia data almeno la consolazione di non dover obbedire a una “confusa moltitudine di parole”.