Mes: cosa c’è dietro la sigla e perché se ne parla tanto

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Cavalca il mondo, il virus, e con lui i tentativi di frenare l’epidemia, ma non solo. I grandi della terra tentano, oltre alla ricetta medica, anche quella economica.

Pronti al “whatever it takes” per la crescita – minata dal coronavirus – ha dichiarato ieri G7 in teleconferenza, parafrasando la famosa frase di Mario Draghi del luglio 2012 in una strenua difesa dell’Euro.

E mentre Bruxelles sospende il patto di stabilità perché gli stati membri non siano economicamente strangolati dal “nemico invisibile”,  l’Ecofin, il consiglio dei ministri Economici e Finanziari degli stati membri, rigorosamente in teleconferenza,  tenta un difficilissimo accordo unitario a sostegno della crisi.

Difficilissimo, visto che L’Eurogruppo che lo precede non arriva ad una decisione congiunta e che prima ancora dell’inizio, la Germania, per bocca del ministro delle Finanze, fa sapere che gli eurobond proposti da Conte, per altro vecchia proposta sia di Tremonti che di Prodi, siano solo “un dibattito fantasma”. Berlino batte su questo tasto anche oggi, perché il messaggio sia chiaro.

E dire che sembrava l’alternativa al Mes, il Meccanismo Europeo di stabilità, istituito nel 2012.

Guidato da un “Consiglio dei Governatori” composto dai 19 Ministri delle Finanze dell’area dell’euro che deve decidere all’unanimità, il Mes ha un capitale di oltre 700 miliardi; versati da tutti i paesi dell’Eurozona, può prestarne massimo 500 (garanzia questa di solidità) e si finanzia emettendo debito sul mercato.

Al momento in cassa ci sono solo 80 miliardi di cui 14 sborsati dall’Italia.

All’epoca, nel 2012, la Camera diede il via libera alla ratifica con 325 voti favorevoli, 53 contrari, 36 astenuti e 214 assenti, ratifica arrivata dopo due anni di trattative fra governi in sede europea per istituire un fondo stabile da utilizzare in caso di crisi, che sostituisse i due fondi allora presenti, andati in soccorso di Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia e Cipro, per affrontare le difficoltà finanziarie del momento derivate dalla bolla subprime.

Dunque, sostengono in molti, analisti ed economisti, ma anche il ministro dell’Economia, il Mes serve, anche se la sfida “fortunatamente si appoggia sulla centralità della Bce”, sostiene oggi Roberto Gualtieri;  il che non significa che debba essere la Bce a fare tutto, come una parte del mondo politico vuole.

Un punto questo, su cui anche gli economisti sono divisi.

Così il Mes è contestato con forza dalle opposizioni. Giorgia Meloni, in un video recentemente postato su Fb che ha ha avuto sette milioni di vistatori,  ha bollato il Mes come un fondo salva banche tedesche e francesi.

Non solo, i prestiti, dice la leader di Fratelli d’Italia, sono condizionati ad una manovra “lacrime e sangue” per il paese che li chiede, sotto la supervisione di una Troika stile Grecia; soprattutto, se il debito pubblico di chi li richiede è pesante.

Andrà a finire che a pagare saranno i correntisti delle banche italiane che salteranno, denuncia Meloni.

Obietta Lorenzo Sala, ricercatore e  fct-cheker de lavoce.info: “dall’introduzione del bail-in anche la ricapitalizzazione di una banca in dissesto da parte del Mes prevede prima un coinvolgimento del settore privato, quindi, solo in misura ridotta, i soldi pubblici potranno essere usati per salvare le banche“”.

Risulta anche fortemente strumentalizzata la visione secondo cui la riforma del Mes serve a portar via i risparmi degli italiani per salvare le banche tedesche, dato che tutti i paesi contribuiscono al Mes in funzione del loro peso (e quindi la Germania è il primo contributore in termini assoluti) e i fondi vengono utilizzati con gli stessi criteri verso le banche di tutti i paesi (senza alcun riferimento alla sostenibilità del debito sovrano). La sensazione è che si stia cercando di strumentalizzare un dibattito molto tecnico per piegarlo a esigenze elettorali” scrive ancora Lorenzo Sala.

Intanto, però, lo stesso Premier Conte il 23 marzo, incontrando l’opposizione, aveva detto che “con le regole attuali” il Mes non è accettabile.

È per l’uso di tutte le risorse disponibili a livello europeo, comprese (ma non solo) quelle del Mes attraverso l’emissione di Eurobond “senza alcuna condizionalità” se non il loro uso per contrastare il Coronavirus, il ministro delle Finanze Gualtieri.

Ed è questa la parolina magica, o meglio indigesta, soprattutto all’opposizione: al Mes, istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico della UE, nel 2012 e, prima ancora, deciso da un Consiglio Europeo del dicembre 2010  quando al governo in Italia c’era il centrodestra, potranno accedere gli Stati membri che si trovino in difficoltà, ma a condizione di rispettare certe regole.

Eccole le famose condizionalità: prima fra tutte, all’origine, la paventata ristrutturazione del debito, che poi con “la proposta della riforma”, spiega la Banca d’Italia sul suo sito, non viene previsto né annunciato “un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani” né al MES vengono affidati “compiti di sorveglianza macroeconomica”.

Per altro spiega Massimo Bordignon, professore, membro dello European Fiscal Board, socio della voce.info, sulle condizionalità  il “trattato è molto vago”, insomma “lascia spazio ad un accordo politico”.
“”Linee precauzionali ce ne sono” – prosegue Bordignon – “uno Stato membro “può chiedere i soldi, ma può anche non prenderli”. Dunque, “se la condizionalità è finalizzata a fronteggiare l’emergenza può andare, altrimenti no”, dice sempre Bordignon.

Insomma spazi per bussare alla porta del Mes senza condizioni capestro ci sono, ma certo non senza condizioni in assoluto.

D’altronde chi presterebbe soldi senza garanzie ad un fallito che li chiede per andarseli a spendere come vuole?

Se invece una crisi indipendente dalla gestione delle risorse, come quella che stiamo vivendo, dovesse indurre uno Stato a bussare alla porta del Mes, per poter riavviare la ripartenza, il discorso sarebbe diverso.

E potrebbe anche essere l’occasione per tutti i singoli Stati membri colpiti dalla crisi, per avviare tutti insieme allo stesso livello riforme cardine per ripartire, per esempio: infrastrutture, agenda digitale, sanità e clima.

Il che non vuol dire che non ci siano ombre: già “il fatto che il Mes sia il frutto di un accordo intergovernativo è problematico anche da un punto di vista  giuridico perché non regolato dalla legislazione europea”, dice Bordignon;

Dunque, non è un bilancio europeo. E in questa faticosa costruzione dell’Europa – 70 anni di pace, liberi movimenti di persone e merci – è chiaro che avere un bilancio europeo significherebbe avere l’Europa, con una Banca Centrale che non gestisca  la sola politica monetaria, anche se inevitabimente, sarà necessaria, da parte di tutti, una cessione di sovranità.

E se è vero che la politica dei piccoli passi porta risultati, allora il Mes, è anche un altro piccolo passo per completare quell’Europa prefigurata da Altiero Spinelli, altrimenti a rischio di infrangersi sugli egoismi nazionali.