Migliore: “L’emersione? Non c’è flop. Ma restano nodi da sciogliere”

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«La regolarizzazione in corso per braccianti, badanti e colf? Sbaglia chi l’ha già bollata come un “flop”. Non lo è affatto, anzitutto perché consentirà finalmente a migliaia di persone di poter lavorare nella legalità. Ciò detto, potrebbe funzionare meglio precisando alcuni aspetti della normativa e snellendo le lungaggini burocratiche».

È la valutazione senza peli sulla lingua del deputato di maggioranza Gennaro Migliore, componente di Italia Viva e in passato presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti.

«Nel 2016, quando ero sottosegretario alla Giustizia, approvammo la legge sul caporalato – dice ad Avvenire -. Anche allora qualcuno disse che era un flop…».

E invece funziona, no?
Certo, e bene. E siccome il tempo è galantuomo, chi parlava di flop è stato smentito dai fatti. Pensiamo all’operazione odierna nelle campagne della Sibaritide e al fatto che siano state sequestrate in un colpo solo 14 aziende agricole: quegli imprenditori non potranno più schiavizzare braccianti, da loro definiti «scimmie». Così sarà, confido, anche per la procedura di regolarizzazione ed emersione in corso: le 9.500 domande finora presentate sono solo un dato parziale. Nel frattempo, però, occorrerebbe sciogliere alcuni nodi, amministrativi, burocratici e interpretativi.

A quali aspetti si riferisce?
Intanto, perché nel sito dell’Anpal non c’è ancora una finestra che consenta una piattaforma di incrocio fra domanda e offerta? È uno snodo fondamentale. Peraltro, sul Sole-24 ore, proprio il presidente dell’Anpal, Domenico Parisi, sostiene che ci sono cose che lui vorrebbe fare, ma che la sua agenzia non gli fa fare. Quali sono, presidente? Ce lo spieghi, visto che uno dei problemi verificatisi finora nell’applicazione del provvedimento è proprio il difficile incrocio fra domanda e offerta su quel sito.

La ministra Bellanova auspica una «leale collaborazione di tutte le amministrazioni». Perché? C’è chi rema contro?
No, ma ci sono aspetti della normativa che fanno da ostacolo. Uno è il costo elevato della procedura: il lavoratore sommerso che si autodichiara ha diritto al permesso di soggiorno e poi a quello per lavoro, ma ciò ha un costo di circa 500 euro, spesso scaricati su di lui. In più, c’è qualche aspetto controverso delle norme da chiarire.

Di cosa si tratta?
Non si può prevedere che i richiedenti asilo debbano rinunciare preventivamente alla richiesta e poi accedere alla regolarizzazione, perché potrebbero trovarsi esclusi dall’una e dall’altra. Si tratta di un passaggio controverso della normativa, sul quale abbiamo chiesto al Viminale un chiarimento interpretativo, una circolare che sciolga i dubbi.

Nodi burocratici a parte, non sarà che le poche richieste, almeno in agricoltura, si debbano al fatto che molti “imprenditori” preferiscono il “nero” per bieche ragioni di profitto?
Se così fosse, sarebbe grave e da sanzionare duramente. Per rendere efficace un provvedimento di emersione, occorre da un lato reprimere e dall’altro facilitare il percorso burocratico.