Negli anni novanta decisi di imparare il russo. Frequentai per due anni a Torino i corsi dell’associazione Italia-Urss dove trovai insegnanti molto bravi. All’inizio eravamo numerosi poi, man mano, il gruppo si è ridusse ad una trentina di studenti perché il cirillico presenta le sue difficoltà ed occorre un impegno costante e faticoso. Al termine del primo anno, nel periodo estivo, mi recai a Mosca per un mese ed il secondo, per analogo periodo, a Leningrado, oggi San Pietroburgo. Venne con me un giovane professore di grande cultura che aveva una certa predisposizione per le lingue. Al termine dei due anni e del periodo passato in Russia eravamo in grado di esprimerci correttamente e di leggere e scrivere un testo di media difficoltà. A Mosca alloggiavamo in una casa privata dove il livello di vita era accettabile. Gregorio, il mio amico professore di Torino, non si lamentava mai di nulla ed era
disponibile ad affrontare lunghe code per reperire i generi di prima necessità. All’università statale MGU, dove studiavamo, c’era comunque una mensa. Il cibo non mancava ma sulla qualità bisognava sapersi accontentare. In quegli anni la situazione a Mosca era
difficile. Nei negozi non si trovava praticamente nulla. Ogni tanto spuntava nelle piazze un camion e si formavano lunghe
file ma nessuno sapeva quali prodotti fossero disponibili. Spingevo Gregorio a inserirsi in queste code anche se spesso i risultati erano deludenti. Un giorno dopo tre ore scoprimmo che venivano venduti degli scarponi di cui non avevamo alcuna necessità. Al mattino frequentavamo le lezioni con insegnanti russi mentre il pomeriggio, dopo due ore di studio, eravamo liberi di girare per la città. La prima cosa che ti colpisce a Mosca è la metropolitana. Ogni stazione è un’opera d’arte la cui bellezza contrasta con la povertà dei quartieri. Allora i bar ed i ristoranti erano pochi e per questi ultimi occorreva sempre la prenotazione. Diversamente venivi respinto senza tanti complimenti. “Chiuso” ti dicevano i camerieri. L’unica arma in grado di convincerli erano i dollari
perché i rubli non li voleva nessuno. Con i dollari potevi entrare anche nei “birioscka” riservati agli stranieri e ai dirigenti di
alto livello dove, a caro prezzo, potevi trovare quello che volevi in barba alla miseria. Questi negozi erano nascosti, mai in vista, per non infastidire la gente comune. Anche alcuni alberghi erano riservati esclusivamente agli stranieri ed ai piani era possibile trovare vivande prelibate. Bisognava entrare, senza dare nell’occhio, fingendosi clienti, come io facevo spesso senza problemi. Occorreva molta disinvoltura all’ingresso per non essere bloccati dalle guardie o dal personale che non gradivano queste incursioni. A volte mi accompagnava per strada un professore russo ma non si avvicinava all’albergo perché temeva di dover fornire spiegazioni per il solo fatto di essere in compagnia di un italiano. Tutti temevano di essere spiati ed evitavano di procurarsi grane. Una sera una professoressa dell’università MGU ci invitò a cena a casa sua ma ci consigliò di arrivare uno alla volta per non creare problemi. In pubblico tutti elogiavano le istituzioni e il partito ma in privato i racconti erano impietosi. In quel periodo il
desiderio comune di studenti e insegnanti era di scappare dalla Russia e venire in Italia. Ma la burocrazia che regolava le rare possibilità di uscita prevedeva una serie di ostacoli insormontabili. Devo dire però che l’idea che avevano dei paesi europei era completamente errata. Spesso mi sono adoperato a spiegare la nostra situazione ma non venivo compreso. Erano convinti che da noi la ricchezza fosse diffusa a tutti i livelli e si stupivano che io non avessi una Ferrari. L’unica cosa che non mancava mai era il pane. Lo trovavi ovunque, in abbondanza e di ottima qualità. Gregorio Codispoti ed io vivemmo a pane e dolci perché spesso alle fermate
della metropolitana si incontrava una vecchietta che per quattro rubli ti vendeva una semplice torta preparata in casa. Avevo letto in un libro di Enzo Biagi di questa storia. Corrisponde al vero. La vecchietta c’era e la torta era squisita.