‘Ndrangheta, favorivano la latitanza dei boss e trafficavano droga e armi

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Un sodalizio dedito a favorire non solo la latitanza dei boss della ‘ndrangheta ma anche il traffico di armi e sostanze stupefacenti è stato smantellato nelle prime ore di questa mattina – nella provincia di Reggio Calabria, Teramo e Benevento – dal Comando Provinciale e dei Reparti territorialmente competenti.

In supporto, durante l’operazione ‘Gear’ anche lo squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, dell’8° nucleo elicotteri di Vibo Valentia, del nucleo Carabinieri Cinofili.

A coordinare l’azione, la Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo, dottore Giovanni Bombardieri che hanno dato esecuzione all’ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria- Stefania Rachele su richiesta del Procuratore aggiunto, Calogero Gaetano Paci e del sostituto Procuratore Francesco Ponzetta – nei confronti di quattordici persone. Dodici delle quali sono in carcere e due agli arresti domiciliari.

I destinatari dei provvedimenti cautelari, tutti originari della Procura di Reggio Calabria sono: Bruzzese Alessandro, di anni trentanove (custodia in carcere); Bruzzese Antonino, di anni quarantacinque (custodia in carcere); Bruzzese Girolamo, di anni cinquanta (custodia in carcere); Bruzzese Girolamo di anni trentasette (custodia in carcere); Cilona Michele di anni trentotto (custodia in carcere); Conteduca Giuseppe, di anni ventinove (custodia in carcere); Elia Rocco di anni quaranta (custodia in carcere); Etzi Pierluigi di quarantadue anni (custodia in carcere); Giardino Michele di ventinove anni (custodia in carcere); Maiolo Giuseppe di anni cinquantotto (custodia in carcere); Pisano Salvatore di anni ventinove (custodia in carcere); Prochilo Vincenzo di trentanove anni (custodia in carcere); Fazari Mariateresa di trentacinque anni (arresti domiciliari); Perrello Francesco di ventisette anni (arresti domiciliari). Altre sette soggetti invece sono indagati in stato di libertà.

L’operazione denominata “Gear” ha colpito duramente soggetti al servizio delle diverse ramificazioni della criminalità organizzata della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione ed al mantenimento del potere mafioso. La volontà di svolgere periodi di latitanza nel territorio di origine e di influenza, indica ancora una volta la necessità di mantenere in ogni condizione un contatto diretto con il territorio, al fine di non mettere in discussione la forza intimidatrice della consorteria di appartenenza. Di contro, il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e l’indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno garantito la sistematica individuazione dei latitanti e consentito di colpire duramente tutte le attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, nonché tutti i soggetti, anche non affiliati, che in qualunque forma la favorivano.

L’operazione denominata Gear, ha consentito di disarticolare un sodalizio che aveva stabilito la sua base nevralgica in una cava di inerti ubicata a Gioia Tauro, la cui finalità prioritaria era quella di agevolare la latitanza di pericolosi boss della ’ndrangheta sottrattisi, nel corso del tempo, ai relativi provvedimenti di cattura emessi dall’Autorità Giudiziaria. La stessa organizzazione curava inoltre un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana, eroina ed hashish e custodiva numerose armi da sparo comuni e da guerra, detenute in modo clandestino, che andavano a rafforzare l’efficacia ed il potenziale delle altre aggregazioni criminali del «Mandamento Tirrenico» della provincia di Reggio Calabria.

Il provvedimento giunge all’esito di una complessa ed articolata attività d’indagine condotta dalla Sezione Operativa della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento dell’Autorità Giudiziaria Distrettuale, nel periodo compreso tra il mese di luglio 2017 ed il mese di dicembre 2018. La genesi delle operazioni investigative deve essere riportata agli esiti delle attività di polizia che avevano permesso ai militari di giungere alla cattura dei latitanti Pesce Antonino, cl.82’, Etzi Salvatore cl. ‘73 e Palumbo Salvatore cl. ‘80.

In particolare, il monitoraggio di mogli, fidanzate, parenti e favoreggiatori dei latitanti consentiva di far emergere la centralità del sito di estrazione, ubicato in Contrada Pontevecchio di Gioia Tauro, che poi si rivelava essere un vero e proprio snodo delle attività delittuose gravitanti principalmente attorno alle figure dei cugini Bruzzese Girolamo, Bruzzese Antonino tutti tratti in arresto

Il monitoraggio di questa cava permetteva ai Carabinieri di Gioia Tauro di catturare, il 14.04.2018, un quarto latitante, Di Marte Vincenzo inserito nell’ «elenco dei latitanti pericolosi» e ritenuto un elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta Pesce, operante nel territorio di Rosarno, ed irreperibile dal mese di Giugno 2015, mentre si sottraeva all’Ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, emessa dall’A.G. di Reggio Calabria. Misura relativa all’operazione c.d. “Santa Fè”, condotta dalla Guardia di Finanza di Catanzaro, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’aver agevolato la cosca di riferimento e quella degli “Alvaro” di Sinopoli; reati per i quali il Di Marte era già stato condannato in primo grado alla pena della reclusione di anni 14.

Una cava, ubicata al centro del territorio di influenza delle cosche della Piana, divenuta base operativa e logistica della criminalità organizzata per tutte le più importanti attività delittuose.

Il traffico degli stupefacenti ha rappresentato un’importante fonte di guadagno illecito per gli indagati. Nel corso dell’indagine sono stati documentati acquisti e rivendite di carichi di sostanza stupefacente, che potevano arrivare fino a 270 kg di hashish e marijuana per volta, anche importati dall’estero, nonché il sistematico occultamento all’interno della cava di numerosi “pacchi” da mezzo chilo l’uno. Le vendite all’ingrosso venivano organizzate e materialmente svolte dagli indagati.

Numerose sono risultate anche le armi nella disponibilità degli indagati, a dimostrazione di un’endemica pericolosità sociale dei componenti dell’organizzazione: pistole semiautomatiche cal. 7,65, cal. 9×21, cal. 38 special, acclarando l’occultamento delle stesse in borsoni fino a 30 pezzi in contemporanea, ma anche armi da guerra, come un fucile mitragliatore Kalashnikov.

L’operazione colpisce duramente soggetti al servizio delle diverse ramificazioni della criminalità organizzata della Piana di Gioia Tauro, proprio nelle attività illecite essenziali alla conservazione ed al mantenimento del potere mafioso. La volontà di svolgere periodi di latitanza nel territorio di origine e di influenza, indica ancora una volta la necessità di mantenere in ogni condizione un contatto diretto con il territorio, al fine di non mettere in discussione la forza intimidatrice della consorteria di appartenenza. Di contro, il capillare controllo del territorio, le capacità informative e gli efficienti approfondimenti investigativi dei Carabinieri sotto il coordinamento e l’indirizzo dell’Autorità Giudiziaria, attraverso una strategia investigativa oculata, hanno garantito la sistematica individuazione dei latitanti e consentito di colpire duramente tutte le attività delittuose tipiche della ‘ndrangheta, nonché tutti i soggetti, anche non affiliati, che in qualunque forma la favorivano.