“Ne usciremo migliori”. Ma davvero?

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Il fatto di essere costretti a casa, forzatamente virtuosi, impauriti e commossi per quel che vediamo e sentiamo, non implica purtroppo nulla di certo sul futuro, né per i comportamenti collettivi né per le piaghe sociali provocate dal virus. Quando sarà chiesto a chi avrà ancora un lavoro di privarsi di qualcosa per aiutare chi ha perso il posto saremo tutti così solidali? O diremo che ci deve pensare lo stato o l’Europa?
Perché la cosa principale che non si dice di questa emergenza terribile è che allargherà ulteriormente il fossato tra chi è garantito e chi no, e la solidarietà casalinga a parole di oggi lascerà il posto a egoismi e corporativismi, e alla ricerca di appoggi alle forze politiche per tutelare interessi di gruppo. Quella frase di De Gasperi che viene spesso citata, “un politicante pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni” si declinerà al presente in una realtà da dopoguerra in cui già le attuali giovani generazioni rischiano di essere espulse totalmente da ogni ciclo produttivo, magari nel limbo di un perpetuo reddito di cittadinanza. Dopo tre quarti di secolo la democrazia vivrà in Italia la sua prova decisiva. Reggerà se nella politica emergeranno gli statisti, e confronteranno le loro idee di paese. Senza passioni forti, capacità di visione e leader degni di fiducia rischieremmo il tracollo. Davvero.