Nella nostra cultura i peccati sono una cosa, i reati sono un’altra

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alessandro meluzzi

Io mi occupo di una visione più generale sul rapporto uomo-donna nelle dimensioni transculturali e il professor Fabris entra in quello che rappresenta indiscutibilmente il focus dei foci delle questioni critiche delle nostre società, che è il rapporto tra l’Occidente e Islam.
Allargando lo zoom di questa questione speciale, bisogna chiederci come mai queste osservazioni, che sono fatti, non sono opinioni, che sono la dimensione di una serie di eventi che fanno parte della storia, di una sociologia descrittiva, dalla storia del diritto, della geopolitica, sono racconti così divergenti da quello che la nostra cultura delinea come politically correct; se qualcuno che ha una visione politically correct avesse ascoltato oggi la relazione del professor Fabris l’avrebbe giudicata inequivocabilmente islamofoba. Però tutti avete ascoltato questa relazione come qualcosa di vero, di reale, di oggettivo. Allora io mi chiedo, che cosa rende possibile, che cosa dà contezza del perché nella nostra cultura, singolarmente, una visione progressista, una visione mondialista, una visione culturalmente ed eticamente corretta, ha avuto come alleato oggettivo, nella politica, nella cultura, nell’antropologia geopolitica, una visione che considera per esempio la migrazione afro islamica dal Sud del Mediterraneo un evento ineluttabile, la descrizione della progressiva islamizzazione dell’Europa come un fatto ineluttabile e non così negativo, o in qualche modo l’accettazione di un fatto del genere.
Già nel 1998, durante un mio viaggio nell’Oriente musulmano, uno dei padri fondatori, il guru dei nostri fratelli islamici, che è Hassan al-Turabi, uomo colto, raffinato, di cultura europea, che ha studiato a Londra e alla Sorbona, mi ripeteva che la nostra cultura occidentale, postclassica, post giudaica, postcristiana, sarebbe caduta inesorabilmente sotto i colpi dell’Islam per almeno due ordini di ragioni: uno di carattere simbolico, linguistico, cognitivo e uno di carattere demografico. Quello di carattere demografico è, come scrisse già il presidente Bundchen, che le donne mussulmane fanno 6-8 figli per coppia (in più c’è anche la poligamia che arricchisce questo fattore), mentre le donne italiane generano 1,1 figlio per coppia e quindi è inesorabile, come già Oriana Fallaci, Ida Magli preconizzarono 30-40 anni fa, che l’islamizzazione dell’Europa sarà un fatto ineluttabile. Il dato cognitivo, però, che la cultura politicamente corretta scotomizza, dice che l’Islam è un sistema in cui c’è una verità rilevata, parola creata, il Sacro Corano dettato dall’Arcangelo Gabriele al profeta Mohamed, quindi non riformabile, non interpretabile, non leggibile. In modo non paragonabile alla dottrina cristiana, nella quale la parola rivelata non è increata, ma è parola ispirata. Quindi la storia della dottrina cristiana è stata una storia di contrasti, eresie, Concili, gerarchie, per cui prima del Concilio di Nicea non si può nemmeno parlare di interpretazione cristiana, anche se poi dopo ci sono mille interpretazioni e biforcazioni che si aprono nell’albero dei cristianesimi (quello ortodosso, le Chiese riformate) ognuno con una sua teologia, una sua visione anche disomogenea soprattutto in termini di teologia morale. Questa probabilmente è anche una delle ragioni storiche per la quale quella che noi chiamiamo cultura liberale o liberaldemocratica o cultura illuminista o post illuminista, non nasce nella meravigliosa Penisola arabica, non nasce nel lussureggiante e sterminato Continente indiano, non nasce nell’Impero di mezzo della Cina confuciana e taoista, non nasce negli Imperi africani subsahariani, ma nasce nelle nostre latitudini, probabilmente perché il cristianesimo per la sua stessa metodologia di ricerca teologica, privilegia la libertà di ricerca, anche se c’è stata l’Inquisizione, ci sono stati i dogmatismi di tutte le nature, ma nulla è paragonabile ad una visione come quella coranica, perché una religione come quella cristiana che dice che non è ciò che entra nell’uomo, ma ciò che esce da lui, cioè le intenzioni, che quindi fa sì che il tema della coscienza e della libertà di coscienza e della percezione interpersonale, ha fatto dire a tanti teologi, non solo moderni ma anche ad alcuni padri della Chiesa, che il cristianesimo non è una religione (o è una religione sommamente imperfetta), semmai è la storia di una relazione personale tra un uomo e un Uomo che dice di essere Dio.
L’Islam non è nulla di tutto questo, per cui è una religione perfetta in questo senso, dall’etimologia “religare”, cioè “legare a”, o con un falso etimo “rex lex”. Quindi, se noi dovessimo pensare a uno strumento perfetto di teocrazia, l’Islam da questo punto di vista è una religione assolutamente formidabile perché è contemporaneamente una religione e un grande sistema giuridico nel quale non c’è distinzione, marcatissima nel cristianesimo e un po’ meno nell’ebraismo, tra peccati e reati. Nella nostra cultura i peccati sono una cosa, i reati sono un’altra: la divaricazione tra reato e peccato nella società occidentale cristiana o postcristiana è abbastanza ampia da molto tempo, almeno dal Seicento, dall’Illuminismo ad oggi. Nell’Islam non c’è nulla di tutto questo: nel mondo islamico tutti i peccati sono reati e tutti i reati sono peccati. Quindi questa compenetrazione di diritto civile, diritto positivo e diritto religioso è la cifra profonda di una religione perfetta, tanto perfetta che a partire dal profeta Mohamed, che ha dovuto innanzitutto creare un formidabile strumento miticologico per governare le tribù pagane e politeiste della Penisola arabica e lanciarle alla conquista del mondo, ha anche fatto un’operazione di straordinario sincretismo prendendo pezzi di ebraismo e pezzi di cristianesimo, prendendo anche molti pezzi di cristianesimo, tanto che un padre della Chiesa orientale come Giovanni Damasceno, considerava gli islamici, che erano suoi contemporanei, come una specie di setta iperdeviata di iperariani, cioè come quegli ariani cristiani che consideravano Gesù di Nazareth non come un Dio, ma come una sorta di figlio prediletto di Dio. Questo per dire come il sincretismo islamico dal punto di vista teologico è piuttosto complesso e complicato fin dall’inizio, dal punto di vista giuridico-normativo-morale è precisissimo. Questa è la ragione per la quale Hassan al-Turabi, mentre riceveva il Presidente al-Bashir del Sudan, dimostrando quale fosse il vero ordine di potere in una società islamica, considerava la nostra cultura confusa, caotica, assolutamente incerta e pasticciata rispetto al rapporto tra sistemi normativi, sistemi cognitivi, sistemi motivazionali e leggi. Quindi parlare di filosofia del diritto, parlare di etica delle responsabilità ed etica delle intenzioni nel mondo islamico non avrebbe alcun senso perché c’è il Sacro Corano nel quale c’è scritto in maniera inequivocabile cosa devono fare gli uomini, cosa devono fare le donne, cosa si può mangiare, cosa non si può mangiare, come bisogna vestirsi, come devono essere costruiti i sistemi urbanistici.
C’è da chiedersi per quale ragione nella nostra cultura del politicamente corretto, anziché vedere tutta la cultura liberale, libertaria, femminista, che corre alla difesa delle nostre libertà occidentali, si sia imbricata una singolare alleanza tra questi mondi e l’invasione afro-islamica dell’Europa, l’islamizzazione dell’Europa. Allora, nella nostra società, anche nelle sue parti più progressiste, bisogna capire le cause di queste “nevrosi sociali”, di questa “dissociazione”.
Come è possibile che il mondo progressista, il mondo femminista, abbia deciso di avere come alleato privilegiato il mondo globalista e migrazionista? Sembrerebbe un paradosso talmente alogico da non spiegare perché il mondo che ha sostenuto l’aborto, il divorzio, il gender, la coppia omo-genitoriale, sia alleato degli islamici nell’immigrazione politicamente, socialmente, culturalmente e che spinga anzi per una afro-islamizzazione dell’Europa (di cui vediamo ogni giorno i segni), e che paradossalmente il mondo che sembrerebbe avere degli elementi di analogia più profondi con la dimensione patriarcale, tradizionale, conservatrice di destra si opponga duramente all’islamizzazione. Io credo che questo dipenda da un fattore, per capire il quale bisogna fare un passo indietro, ed è legato alla filosofia del diritto e al tramonto ineluttabile di quello che io chiamo diritto naturale. Oggi, chiunque pensasse di fare appello al diritto naturale verrebbe deriso, ma pensate a Bobbio che nel suo diritto positivo sostiene esplicitamente che il diritto naturale sia un diritto in cui la natura rivendica i suoi diritti ontologici: il maschio è maschio perché ha un genoma, dei caratteri sessuali secondari e primari con certe caratteristiche; la femmina è femmina perché ha certi caratteri sessuali primari e secondari di un certo tipo.
L’ontologia del diritto naturale nella nostra civiltà del diritto e anche culturale, è stato sopravanzato completamente dal diritto soggettivo che è un diritto positivo-culturale. Bobbio dice che non si può costruire il diritto degli uomini sul diritto naturale, perché il diritto naturale è il diritto della giungla, del più forte sul più debole, della foresta; gli uomini sono liberi e sono una specie linguistico-culturale e quindi determinano in maniera totalmente autonomica e non eteronomica-biologica le loro leggi con la democrazia e quindi se io stabilisco che uno non è del sesso che è, ma è del sesso che ritiene di essere (come è in tutte le normative giuridiche europee e ormai anche italiane), non conta per essere maschi o femmine avere i caratteri xy o xx, ma conta quello che uno ritiene di essere, e non c’è nemmeno più bisogno di cambiare i caratteri sessuali secondari.
Questo è il contenuto del diritto positivo applicato al gender: io sono del sesso che decido di essere. La teoria del gender nel diritto si trasforma nella prevalenza del diritto positivo sul diritto naturale. Sottovalutare però il diritto naturale è una cosa di cui non vediamo ancora tutti gli esiti.
Questo, singolarmente, impatta con l’islamizzazione creando una serie di problemi. Una cultura profondamente basata sull’idea di un’autodeterminazione senza sovradeterminazione (quale la cultura gender), una cultura fortemente antagonista come la cultura femminista, appare talmente forte rispetto al tradizionalismo naturalistico considerato maschilista, che questa cultura progressista-globalista ha pensato che qualunque fossero gli alleati, sarebbero stati utili ad eliminare questa visione “fascista” della realtà, che muta più di qualsiasi altra cosa. Dietro tutto questo c’è una rottura simbolica profonda e la nostra cultura sta andando progressivamente verso una degenerazione antropologica, dovuta anche al rifiuto di una visione ontologico-naturale della vita; buttato a mare il diritto naturale e privilegiando la coppia sulla famiglia, reca precarizzazioni che il mondo islamico non prevede.

prof. Alessandro MELUZZI