Niente sarà come prima (del Covid)

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Ci sono alcune affermazioni ricorrenti nelle dichiarazione di molti opinion-leaders: nulla sarà come prima del covid; la pandemia ci ha insegnato che ci si salva solamente tutti assieme. Sono queste affermazioni valide solamente per le emergenze sanitarie, oppure sono valide anche per altre emergenze?

Risolto (speriamo), con il vaccino, il problema sanitario, ci saranno da affrontare le conseguenze economico-sociali della pandemia. Per questo l’Europa ha messo a disposizione risorse quantitativamente rilevanti che debbono essere utilizzate presto e bene. Il ragionamento che seguirà vuole focalizzarsi su un aspetto che prova a unire il “non essere come prima e l’”investire bene”.

Un primo aspetto è con che “metro” si misura il bene; possiamo continuare ad utilizzare il PIL o ad usare il BES (benessere equo e sostenibile, strumento elaborato dall’ISTAT per superare i limiti del PIL).

Come premessa alla proposta finale prendo (arbitrariamente?) tre riferimenti:1) secondo Bergoglio occorre costruire una “nuova giustizia sociale partendo dal presupposto che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata” esaltandone semmai “la funzione sociale”;2) “sulla base delle esperienze analizzate in questo libro, sono convinto che sia possibile andare al di là del capitalismo e della proprietà privata e istituire una società giusta,…Questo comporta in particolare la costituzione di un regime di proprietà sociale e temporanea”( pag. 1170 del libro “capitale e ideologia” di Thomas Piketty);3) Art. 41 della costituzione italiana: “L’ iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”…..

Spesso si afferma che la Costituzione italiana è la più bella del mondo. Sarebbe più giusto affermare che i principi scritti in Costituzione sono fra i più avanzati del mondo, perché sono stati scritti in risposta ad un periodo storico in cui sembravano prevalere regimi che reputavano naturale e giusto poter imporre, ai sottouomini, tutti i patimenti e i soprusi pensabili da parte dei superuomini.

Il fatto che la Costituzione, in parte, non sia applicata significa che c’è chi ancora pratica questo pensiero, da superuomini, che possono infliggere agli altri, subumani, vessazioni più o meno pesanti che arrivano fino al togliere la vita per realizzare profitti privati. (ess. Falsificazione dei dati sulle emissioni delle auto diesel che comportano decine di migliaia di morti premature; acciaieria ThyssenKrupp di Torino; ponte di Genova).

Ovviamente, in questo caso, quando si parla di proprietà privata si vuole fare riferimento e quel livello di proprietà, il cui utilizzo ha forti ripercussioni sulla società e i singoli.
Quando Piketty, nel suo libro, parla di “proprietà sociale e temporanea”, fa riferimento alle esperienze di partecipazione azionaria e/o nel consiglio di sorveglianza nelle aziende del nord- europa, da parte dei lavoratori e loro rappresentanze.
Stranamente non fa riferimento alle esperienze delle cooperative di produzione-lavoro italiane.

Nelle cooperative citate la proprietà è temporanea (sei proprietario finché sei socio-lavoratore poi la proprietà passa ai nuovi soci-lavoratori) ed è sociale in quanto è in capo a tutti i soci-lavoratori, pur nelle distinte responsabilità.

Ci sono delle conseguenze implicite in questo tipo di impresa, fra le altre,: non potrà mai delocalizzare perché è nata per dare lavoro e gli utili sono necessariamente utilizzati in innovazione per garantire il futuro ai soci, difficilmente avrà atteggiamenti ambientalmente dannosi che si ripercuotono sui lavoratori e sui cittadini (spesso coincidenti nella stessa persona).

Allora perché non pensare ad un utilizzo dei fondi europei per potenziare le capacità di intervento dei fondi mutalistici deputati alla promozione delle imprese cooperative, unitamente all’affinamento degli strumenti di analisi e di aiuto iniziale di nuove cooperative. L’attività dovrebbe essere rivolta in particolare a quelle imprese sane, che per avidità degli azionisti( spesso anonimi fondi di in vestimento) vengono delocalizzate in cerca di profitti più lauti, molte volte a discapito delle condizioni retributive e normative dei lavoratori e alla ricerca di normative ambientali meno stringenti. Si andrebbe così a creare un maggiore pluralismo economico, lasciando al futuro confronto dei risultati stabilire quale sia lo strumento( tipo di impresa) più efficace; ma conseguendo subito una maggiore democrazia economica (partecipazione dei soci-lavoratori alle decisioni).

Personalmente ritengo che in premessa vi debbono essere dei cambiamenti di mentalità come1) la caduta di pregiudiziali ideologiche; 2) consapevolezza dei lavoratori di diventare proprietari; 3) superare l’idea che la cooperazione sia figlia di un dio minore e buona solo per situazioni particolari; 4) comprendere, da parte del sindacato, che si dovranno tutelare non più lavoratori ma proprietari-lavoratori.