“Noi rovinati dal Natale Covid”. ​Il grido di alberghi e ristoranti

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L’ultimo decreto del Governo con lo stop degli spostamenti e i coprifuoco ‘uccide’ il Natale di albergatori e ristoranti. E manda in fumo diversi miliardi di euro che avrebbero potuto dare ossigeno – e in molti casi garantire la sopravvivenza – a un settore già duramente colpito dalla ‘prima’ crisi Covid e ora travolto dalla seconda ondata.

“Se è vero che in un anno ‘normale’ sono circa 19 milioni gli italiani che si mettono in viaggio tra Natale e l’Epifania, con una spesa media di circa 730 euro a persona per un giro d’affari complessivo di 14 miliardi di euro – osserva in un colloquio con l’AGI il direttore generale di Federalberghi, Alessandro Massimo Nucara – prevediamo che il 90% di tutto questo andrà perduto”.

I nuovi Dpcm “hanno ucciso le feste”, gli fa eco Aldo Cursano, vicepresidente nazionale di Fipe, portando al Governo il conto salato del ‘Natale Covid’: 6 miliardi di euro in meno di entrate, considerando i pranzi di Natale limitati alle sole regioni gialle e la totale perdita dei 5 milioni di clienti che trascorrevano il cenone di Capodanno nei locali.

Sulla stessa lunghezza d’onda la vicepresidente di Confindustria Alberghi, Maria Carmela Colaiacovo, che sempre all’AGI denuncia come parlare di ‘room service’ sia “offensivo” e “calpesti la dignità” degli imprenditori, al di là della difficoltà di gestione e di costo. Inoltre, ricorda come le risorse stanziate finora dai vari decreti ristori non coprano” neanche il 10% delle perdite di fatturato del settore, mentre in altri Paesi europei sono arrivati a coprire fino al 70% delle perdite”.
Federalberghi, perso il 90% del giro d’affari

Il decreto legge di ieri sera e il Dpcm in arrivo confermano i timori peggiori per il settore, sottolinea il direttore generale di Federalberghi, Nucara. “Facciamo un esempio – spiega – il cenone di Capodanno: è pur vero che si potrà cenare in camera, ma poniamo che un si vada a Firenze. Dalle 18 è tutto chiuso, quindi non resta che andare in albergo, dove si potrà cenare solo in camera. Ma allora tanto vale restare a casa”.

E ancora: “Il 25 e 26 non ci può muovere tra Comuni – prosegue – quindi se sei a Roma e vuoi andare a pranzo al mare a Fiumicino non lo puoi fare perché è un altro Comune”. È vero che ancora una volta gli alberghi non sono stati chiusi, è la riflessione, “ma più di quanto sia successo in passato vengono chiusi in casa i clienti.

Magari si riescono a configurare delle mini-offerte e quindi qualcuno si muoverà. Così – ipotizza – per una coppia di fidanzati la cena in camera in un albergo può essere una cosa romantica e il milanese che vuole andare a Livigno può farlo, ma certo non può sciare. Che cosa fa allora? La passeggiatina fino alle 18 e poi? Dobbiamo tutti quanti riorganizzarci perché è responsabilità collettiva tener conto della difficoltà del momento – sottolinea – ma la norma sembra fatta apposta per dire ‘italiani state a casa’”.
Fipe, in fumo 6 miliardi di pranzo Natale e cenone

I ristoratori italiani, spiega il vicepresidente della Fipe, Aldo Cursano, fino all’anno scorso mettevano a tavola per il pranzo di Natale 4 milioni di persone. Un po’ di più per l’ultimo dell’anno, 5 milioni al cenone di San Silvestro. “Quest’anno – afferma – sembra che il pranzo di Natale sarà consentito solo nelle zone gialle, quindi nel 30% del Paese. E lì i ristoranti sconteranno circa il 50% dei coperti per il distanziamento”.

Quindi, prosegue, “noi passiamo da 4 milioni di persone a nemmeno 800.000. E perdiamo totalmente i 5 milioni di clienti che vivevano l’ultimo dell’anno con gli amici e le persone care nei locali”. Così, è la riflessione, “muoiono la convivialità e la socialità. Poi è chiaro che si vendono solo pantofole, pigiami e tute: alla gente non interessa più uscire di casa. È chiaro che si fa il gioco dell’online e queste scelte sono una contraddizione tra chi come noi vuole valorizzare il Made in Italy e la relazione umana e chi fa il gioco di Amazon. E Amazon ringrazia i nostri Dpcm e l’Italia“.

Per Cursano, le nuove misure sono “una condanna a morte. In questo modo – osserva ancora – si chiude un 31 dicembre con un profondo rosso per tutte le attività legate al terziario, perché sono state limitate o chiuse. Il mondo del terziario vive sul ‘fuori casa’ e non sta in piedi se le persone non possono uscire”.

“Dicembre – insiste – è il mese in cui, a condizioni normali, si salva l’anno e in questo momento, con oltre nove mesi di chiusura o di pochissima attività alle spalle, diventa un elemento fondamentale per salvare almeno una parte delle imprese della ristorazione. Ma si continua a non farlo”.

“E questa è una responsabilità politica grossa come una casa”. Prosegue nella sua analisi il presidente della Federazione dei pubblici esercizi della Toscana: “Per noi e per le nostre famiglie, che viviamo di questo, la sicurezza e la salute sono da sempre al centro del nostro lavoro. La nostra missione è quella di far star bene le persone, non certo male”.

“Quindi non è più tollerabile continuare a vedere che vengono spostate responsabilità nei confronti di chi come noi ha ruolo di educatore alimentare- prosegue – noi che abbiamo investito in sicurezza e che ci siamo indebitati ulteriormente per creare maggiore sicurezza formando i nostri ragazzi, abbattendo il numero dei coperti, creando una nuova modalità di organizzazione della cucina, rivedendo i menu e circoscrivendo ogni ipotesi di rischio.
Confindustria alberghi, colpiti anche nella dignità

Le misure del nuovo Dpcm “appaiono davvero irrispettose e insostenibili e ci fanno dire ancora una volta ‘no’ a quella demonizzazione del settore che siamo francamente stanchi di sentire”. È la posizione di Confindustria Alberghi, con la vice presidente Maria Carmela Colaiacovo, che denuncia: “Questi nuovi Dpcm sono la scelta precisa di una chiusura drastica di tutto quello che è il nostro mondo. Gli alberghi restano aperti in teoria, ma ovviamente sono chiusi perché al loro interno non si possono svolgere attività”.

E, prosegue, “con il divieto di spostamento tra Regioni non esistono neanche ‘corridoi sicuri’ attraverso i quali far passare i clienti con prenotazione. Quello che ci colpisce e che ci offende – sottolinea – è il modo in cui siamo trattati, perché non si può entrare nella specificità del lavoro alberghiero”.

“Noi siamo degli imprenditori e dei professionisti, quindi nel momento in cui ci vengono date delle delle regole le eseguiamo. Ma parlarci di ‘room service’ è offensivo. Al di là della difficoltà gestionale e dei costi. Ci sono delle complessità per questo tipo di servizi e restiamo costernati davanti a scelte del genere”.                                                                                                                                                        Gaia Vendettuoli