Non c’è Strada nella sanità calabrese

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“Ma cosa c’entra Gino Strada? La Calabria è una regione dell’Italia, non abbiamo bisogno di medici missionari africani, non ne abbiamo la necessità. Abbiamo bisogno che in Calabria, dove ci sono fior di professori, si cerchi qui chi si deve occupare della sanità calabrese”. Antonino Spirlì, presidente facente funzione della Regione Calabria

È del tutto naturale che chi muove i fili della sanità calabrese – 3,5 miliardi l’anno, il 75 per cento del bilancio regionale, 20 mila dipendenti – preferisca fare affidamento sui personaggi che fanno la fortuna di Maurizio Crozza piuttosto che su Gino Strada. Perché con un commissario governativo come l’ex generale suonato come un tamburo, e dimissionato (“non so se sono stato drogato”), o come l’irascibile successore, negazionista della mascherina, certi potentati possono stare tranquilli. Non ha torto chi (Marco Bentivogli sul “Foglio”) osserva che “nessuno ha chiesto a Speranza, Boccia, Emiliano la ratio con cui avevano nominato cotanti ‘tecnici’” (senza dimenticare l’esperto pugliese di talismani e cationi). Anche se non si sente la necessità di rimpiangere le lottizzazioni dei bei tempi andati. Le nomine odierne sono, come allora, frutto della “caporalizzazione” dei partiti, con l’unica differenza che i gestori del settore si chiamavano portaborse.

Per tornare alla sanità calabrese, altro discorso riguarda lo Spirlì che – non inganni la sciarpetta bohemien e l’aria pazzerella – ha ben presente il perimetro di fuoco entro il quale muoversi. Messaggio chiave la calabritudine del “si cerchi qui dove abbiamo fior di professori”, del “non abbiamo necessità di medici missionari”. Un sacrosanto orgoglio etnico, e meridionalista mai del resto mortificato da interferenze esterne, visto e considerato che non si conoscono assessori alla Sanità di un certo peso che non fossero espressione della politica regionale. Così come non risultano essere fenomeni importati (molto attivi al contrario nel ramo esportazione) i circoli massonici e la ’ndrangheta, da sempre soggetti appaltanti nei capitoli di spesa greppia, minacce e spolpamento. Senza dimenticare la Calabria dei Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio Regionale assassinato nel 2005 per ordine dei clan che lo consideravano evidentemente un ostacolo. Per non parlare dei tanti amministratori onesti, costretti a subire un calvario di intimidazioni e dimissionamenti. Se questo è il contesto (e lo scontro) non suscita meraviglia che il possibile arrivo di un “medico missionario” come responsabile Covid (nato per giunta a Sesto San Giovanni) generi da quelle parti viva sorpresa e vasta preoccupazione. E che a dar man forte ai vari Spirlì si mobiliti a Reggio Calabria l’estrema destra con manifesti e striscioni contro il fondatore di Emergency. Tutti costoro hanno le loro ragioni a essere assai allarmati da un signore che nei contatti avuti con il premier Conte avrebbe posto come unica condizione non venire a fare “la foglia di fico”. Soprattutto, aggiungiamo noi, per ciò che riguarda le modalità di spesa del pubblico denaro. Certo, per uno che ha fatto il chirurgo nell’inferno afghano certi avvertimenti lasciano il tempo che trovano. Tuttavia, quando abbiamo appreso dal suo entourage che “dopo Conte nessuno si è più fatto sentire” non sapevamo se essere più delusi o più sollevati per lui.                                                                                                          di Antonio Padellaro