NON TUTTI I TRASFORMISTI SONO COME SCILIPOTI: LEGGETE JOHN F. KENNEDY

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Se fossi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nel chiedere al Parlamento di rinnovare la fiducia al governo, limiterei allo stretto indispensabile i riferimenti alle mattane di Matteo Renzi. Eviterei, nei limiti del possibile, di accendere altre micce polemiche, perché tanto nell’arte di scottarsi le dita (e molto altro ancora) il piromane di Rignano è imbattibile. Senza contare che a sfancularsi ci ha già pensato da solo, ed essere ignorato lo fa impazzire. Poi, scinderei, naturalmente, le responsabilità dei senatori e deputati di Italia Viva da quelle di Demolition Man, e troverei il modo, non formale, di ringraziare le ex ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti per il fattivo contributo dato all’azione dell’esecutivo in tempi così difficili. E senza ipocrisie, mi rivolgerei ai parlamentari di Iv ribadendo la necessità di un loro sì, sul quale, Renzi o non Renzi, ricostruire con il mio governo un rapporto solido per il resto della legislatura. Fin qui tutto abbastanza scontato, così come lo sarebbe il cuore del discorso: la drammatica emergenza che da un anno affligge il Paese sfibrandolo, e la minaccia di una pandemia “fuori controllo” (Istituto Superiore di Sanità) da governare quasi ora dopo ora e senza colpevoli vuoti di potere.
A questo punto viene il difficile, ovvero la richiesta di aiuto ai cosiddetti Responsabili (riverniciati per l’occasione Costruttori): soprattutto senatori che dall’opposizione dovrebbero trasmigrare nella maggioranza (affinché non diventi ex maggioranza). Non so Conte, ma se penso a queste “risorse” subito mi appare la figura non specchiata del senatore Sergio De Gregorio, quello “acquistato” da Silvio Berlusconi per danneggiare il governo di Romano Prodi. Oppure mi si appalesa la premiata coppia Razzi&Scilipoti, anch’essi folgorati sulla via di Arcore, divenuti ormai un classico del trasformismo. Fermo restando che i senatori non si comprano, e meno che mai quelli stile De Gregorio, provo disagio al concetto stesso di transumanza parlamentare. Ma nello stesso tempo mi chiedo se, nel caso presente, il fine (evitare una crisi disastrosa temuta dalla larga maggioranza dei cittadini) non giustifichi i mezzi (o se vogliamo i mezzucci). Alla ricerca di una qualche buona ragione, mi è venuto in soccorso John F. Kennedy (gli alibi me li so scegliere bene) che nel celebre Ritratti del coraggio, a proposito dell’“arrendevolezza al compromesso” e del “senso delle cose possibili” in politica, scrive: “Non dovremmo avere troppa fretta nel condannare ogni compromesso quale esempio di cattiva moralità. Infatti la politica e l’attività legislativa non sono questioni di inflessibili princìpi o di ideali irraggiungibili. La politica, come ha acutamente osservato John Morley, ‘è un campo in cui l’azione è una perpetua mancanza del meglio, e dove la scelta costantemente si effettua tra due errori’”. Però, sulla tecnica del compromesso, John Kennedy ha scritto qualcos’altro che non si può tralasciare: “Il problema vero consiste, dunque, come arrivare al compromesso, e con chi. Infatti, è purtroppo facile arrivare a concessioni non necessarie, non suggerite dal desiderio di risolvere legittimamente i conflitti, ma soltanto dalla speranza di andare avanti”. E dunque “a che prezzo” imbarcare i Costruttori? Cosa offrire loro? Una prospettiva politica, o cosa? Fortunatamente, però, il premier non sono io e attendo fiducioso che questo dilemma sappia risolverlo lui.                                                                                                                       di Antonio Padellaro