Ieri abbiamo assistito in aula al momento più alto del populismo nel nostro Paese

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Con i partiti storici accodati ai populisti. Con il voto a favore del taglio dei parlamentari, Forza Italia ha definitivamente rinunciato al proprio ruolo per accontentare la Lega e Salvini, ufficializzando di fatto, semmai ce ne fosse ancora bisogno, la fine della sua storia politica e di quella del centrodestra.

Dall’altro lato, anche il Pd, che per ben tre volte aveva votato contro questa proposta di riforma, si arrende ai 5 Stelle, accettando una posizione di subalternità. In questa fase, la politica in Italia è ostaggio del populismo. Liberali, popolari e riformisti hanno il dovere di unire le forze e di costruire una nuova casa politica.

La riforma, presentata in questo modo, è un attacco alla democrazia. Così la politica viene meno alle proprie responsabilità, altera il sistema di rappresentanza territoriale senza preoccuparsi di applicare i necessari correttivi nel sistema elettorale e nei meccanismi costituzionali. Tutto questo solo per permettere ai 5 Stelle di soddisfare la loro demagogia eversiva. È la vittoria dell’antipolitica.

La riduzione dei parlamentari può avere un senso non certo per risparmiare ma per rendere più efficienti i sistemi decisionali e quindi va realizzata all’interno di una proposta di riforma che garantisca rappresentanza e governabilità.

Un riforma che riporti gli elettori a scegliere gli eletti e non ad avere dei parlamentari nominati da quattro segretari di partito.

In questo quadro l’unica giustificazione è quella demagogica del taglio della spesa pubblica, ma l’Osservatorio per i Conti Pubblici ha già fatto notare come il risparmio sarà di appena lo 0,007 per cento della spesa pubblica italiana. Di cosa parliamo?

Lo dice Stefano Parisi sul voto in aula del taglio dei parlamenta