Patrimoniale non è una parolaccia In Germania si chiama Solidarietà

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Ci sono parole che un brutto giorno perdono la loro innocenza e si caricano d’un peso nefasto. Patrimoniale è una di queste parole. In sé, pensateci, tassa patrimoniale sarebbe un concetto abbastanza neutro, persino un po’ banale. Se c’è una situazione di emergenza e bisogna far fronte a spese eccezionali è naturale (nel senso di naturalmente giusto) che chi ha più soldi contribuisca di più di chi ne ha meno. In fondo non è che un’applicazione del principio sancito dalla nostra Costituzione e diffuso in tutti i paesi che non hanno adottato la flat tax (cioè quasi tutti nel mondo) della progressività dell’imposizione fiscale. Quasi nessuno lo contesta, nemmeno i liberisti più liberisti. Almeno in teoria.

Perché, allora, appena quella parola compare sulla scena pubblica si aprono le cateratte del cielo, soffiano venti d’uragano e schiere di volenterosi si precipitano ad innalzare argini cementati di sacra indignazione? È quanto sta avvenendo in questi giorni, dopo che a qualche esponente della sinistra quella parola è uscita dalla bocca. Lasciamo stare per il momento le ragioni per cui la si è gettata nell’arena politica, se come l’indicazione preveggente d’un passo di politica economica o una studiata provocazione per segnalare una volta di più le insopportabili diseguaglianze che la pandemia sta aggravando tanto pesantemente. Il fatto è che lo scandalo è stato immediato e immediatamente ha fatto sprofondare in una nebbia rissosa la sostanza di un problema semplice: se per combattere l’epidemia e per gli investimenti che saranno necessari dopo, alla ripresa, serviranno più soldi chi sarà chiamato a tirarli fuori? L’Europa, certo. Forse – speriamo – i grandi gruppi del web ai quali alla fine si riuscirà a far pagare le tasse dove ammucchiano i loro sterminati guadagni. Il ricorso a nuovo indebitamento dello Stato, ahinoi. Ma pensiamo davvero che alla fine non sarà necessario, oltre che utile e giusto, ricorrere al patrimonio del risparmio privato che è cresciuto e continua a crescere mentre gli italiani si chiudono in casa e smettono di spendere?
Chiamiamola in altro modo

Allora parliamone. E per evitare di affogare nella confusione facciamoci furbi e aggiriamo la parola che scatena la rissa. La Patrimoniale chiamiamola in un altro modo. Per esempio: Contributo Nazionale di Solidarietà (ovviamente si accettano altre proposte, magari più creative). Lo hanno fatto in Germania, subito dopo l’unificazione. Nel 1991, due anni dopo la caduta del Muro di Berlino, il governo federale introdusse il Solidaritätszuschlag (che i tedeschi abbreviarono subito in Soli): una sovrattassa sull’Irpef e le imposte sui redditi di impresa del 5,5%. Quei soldi servivano agli investimenti e alle politiche necessarie per portare i Länder dell’Est allo stesso livello di quelli occidentali. Espressi in euro, oltre trecentocinquanta miliardi trasferiti dall’Ovest all’Est che (quasi) nessun cittadino della vecchio-nuova Repubblica federale rimpiange di aver tirato fuori.

Si obietterà che il Soli non era propriamente una tassa patrimoniale giacché era uguale per tutti. Ma, a parte il fatto che venne accompagnata da un rafforzamento della progressività della tassazione normale e da corpose esenzioni per i redditi più bassi, la sua evoluzione andava comunque in quella direzione. Fino all’anno scorso, quando il governo di Berlino ha deciso che dal gennaio 2021 il Soli verrà abolito per il 90% dei contribuenti ma resterà in vigore, in forma ridotta, per il 6,5% di quelli che appartengono alla fascia di reddito superiore e resterà intero per il 3% dei più ricchi.

Insomma, in Germania i più ricchi rispondono al principio della solidarietà ben oltre la normale ratio della progressività e nessuno ne mena scandalo. Naturalmente la cosa è oggetto di discussione e c’è chi politicamente la contesta, ma il principio è in generale ben accettato dall’opinione pubblica, dai media e dagli istituti economici e le decisioni sul Soli, compresa quella dell’anno scorso, sono state sempre prese d’intesa dei due partiti principali, la CDU/CSU e la SPD, anche quando non erano alleati nella große Koalition.

Si potrebbe affrontare il problema, qui da noi, con la stessa serenità?                                                        Di Paolo Soldini