Primarie Pd, la parodia della consultazione Dem mentre Roma è un disastro

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Sul terreno degli enti locali, centro-destra e centro-sinistra mettono in evidenza grandi difficoltà

A Roma le difficoltà maggiori sono quelle del centro-sinistra, che non ha trovato affatto un candidato unitario, tanto meno con le primarie di domenica scorsa che sono state solo una caricatura, anzi una contraffazione della democrazia.

Come ha già messo in evidenza su questo giornale Paolo Cirino Pomicino le primarie sono una cosa seria negli USA dove sono storicamente fondate su una dialettica bipolare e le votazioni negli Stati avvengono nel fuoco di un grande dibattito politico che si svolge sui giornali, sulle televisioni, adesso sui social.

Siccome anche nei confronti dei suoi nipotini va applicato il criterio dell’analisi differenziata, promosso a suo tempo da Togliatti (che però l’applicava con un notevole rigore perfino sul fascismo, ma la dimenticava sull’URSS), allora, anche se in Italia nel suo complesso le primarie non rappresentano una scelta valida, tuttavia nell’ultima tornata dove proprio non hanno funzionato è a Roma, mentre a Bologna almeno si sono collocate in un dibattito generale così infuocato che le ha fatto da cornice e che quindi ha reso reale il confronto.

Tutto il contrario a Roma. Nella capitale, infatti, è stato inficiato alla radice. L’involuzione del PD è in atto a Roma da anni. Il “modello Roma” è in crisi da tempo. Il dibattito successivo è stato deviato dall’intervento giudiziario messo in atto dal procuratore Pignatone, che ha falsato tutto lanciando l’operazione “mafia-Capitale”. A Roma non c’era la mafia alla Totò Riina, a Roma c’era la corruzione. Buzzi non era un mafioso, era uno dei capi delle cooperative rosse ed era parte di un collaudato sistema di potere e anche di corruzione che coinvolgeva il centro-destra e il centro-sinistra.

Per metterci una pezza fu chiamato il povero Ignazio Marino che avrebbe dovuto in parte coprire in parte superare tutto ciò. Senonché Marino era proprio estraneo a un certo sistema di potere, per cui si è rivelato una specie di Forrest Gump, non stette al gioco e fu fatto fuori sia dal PD nazionale che da quello locale.

Quando i romani hanno visto che si recavano dal notaio per dare le firme contro il sindaco del PD Marino sia i consiglieri comunali del PD, sia quelli di Alemanno, ecco che c’è stata una rivolta generale specie nei quartieri periferici che ha prodotto  , cioè il disastro. Virginia Raggi è stata il corrispettivo degli attori presi dalla strada nei film di De Sica. È stata eletta a furor di popolo senza conoscere nulla e senza avere intorno uno staff all’altezza della situazione, per cui una parte degli esperti dati dal movimento sono finiti in galera perché volevano approfittarsi della situazione (vedi Marra e Lanzalone).

Se si dimentica tutto ciò non si capisce nemmeno la fatuità dell’operazione avvenuta domenica. Il PD aveva davanti a sé due strade serie, convincere Zingaretti a presentarsi, perché egli ha fatto bene il presidente della Regione, oppure, specie nel momento in cui la Raggi non si è ritirata, convergere su Calenda, che copre un’area riformista e che ha la capacità tecnica per fare bene il sindaco. Il PD ha scartato entrambe queste ipotesi e ha scelto Gualtieri, cioè, con tutto il rispetto, il nulla: un buono storico, un bravissimo parlamentare europeo, un mediocre ministro del Tesoro, “zero tituli” come candidato sindaco.

Fabrizio Cicchitto