Processiamo il TAP

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Come tutti sappiamo, il Tap (Trans Adriatic Pipeline) rappresenta l’ultima parte di un gasdotto di ben quattromila chilometri che parte dall’Azerbaijan per poi approdare in Italia. Il progetto fa parte di un complesso scacchiere geo-politico che coinvolge numerosi Paesi e le loro relazioni politico-commerciali. In particolare TAP completerebbe il cosiddetto Corridoio Sud del gas, mentre è in gioco ancora il progetto Nord Stream 2 che completerebbe il Corridoio Nord del gas, garantendo così ai Paesi economicamente più forti d’Europa (Germania e Francia in testa), non solo una diversificazione dell’approvvigionamento di gas, ma anche un margine di contrattazione con la Russia, che attualmente è il principale fornitore di gas in Europa, nonché con Algeria e Libia – altri importanti fornitori – quest’ultima interessata da disordini interni successivi alla caduta del regime di Gheddafi.

I miti sul TAP

Su TAP si è detto e scritto tanto e tanti sono i falsi miti sul gasdotto: si dice, per esempio, che è solo un tubo e che i comitati contrari alla sua realizzazione sono nimby (Not In My Back Yard, non nel mio cortile), ossia che curano il proprio orticello senza pensare ai vantaggi di queste grandi opere. Peccato che però il gas condotto da TAP non si fermerà in Italia, ma sarà destinato a riempire gli hub del gas in Austria per poi essere distribuito in Nord Europa, mentre in Italia ne resterà una parte irrisoria (come irrisoria è già la quantità di gas trasportata da TAP in Europa: 10 miliardi di mc all’anno, in confronto ai 160 miliardi di mc di gas russo), come non viene ben specificato che una maggiore offerta non porterà all’abbassamento del prezzo del gas, dato che quest’ultimo è comunque legato al valore del barile di greggio.

Tra l’altro non viene mai specificato che il trasporto del gas sul suolo italiano, gestito da SNAM, ancorché si fermerà in Italia solo in minima parte, sarà pagato in bolletta dagli italiani, incidendo sui costi fissi, ossia sulla voce “spesa per il trasporto e la gestione del contatore”. Inoltre è anche relativamente falso che questo gasdotto ci renderà più autonomi dalla Russia, dato che Gazprom, la maggiore compagnia russa del gas, è fortemente interessata a TANAP (la parte di gasdotto che passa dalla Turchia) e, di riflesso, al TAP e al mercato europeo. Perché è più facile fare accordi commerciali con i Turchi e con l’Arzebaijan piuttosto che sobbarcarsi la spesa di costruire nuovi gasdotti che passano da territori instabili politicamente (Medioriente) o con cui non corre buon sangue (tra cui l’Ucraina).

S’è detto poc’anzi e lo sento ribadire spesso: TAP è solo un tubo, che male fa? Lasciando per un attimo da parte la questione che il punto d’approdo è una delle più belle spiagge del Salento, San Foca, e che questa località è interessata da diversi vincoli paesaggistici (aspetto su cui torneremo tra poco), il problema principale, poco affrontato, è che il progetto TAP prevede la costruzione di una centrale di depressurizzazione di 12 ettari sita tra Melendugno, Vernole, Calimera e Castrì, le cui emissioni si accumuleranno a quelle dell’ex ILVA, della Centrale a carbone di Cerano e della COLACEM di Galatina (che produce cemento) e accentueranno il tasso di mortalità tumorale, già adesso uno tra i più alti d’Italia. Senza parlare del rischio rilevante di esplosioni o incidenti di varia natura correlati ad attività rischiose dovute alla depressurizzazione, per cui non si sa molto dato che sul progetto TAP non è stata mai applicata la normativa Seveso.

Non si dice, tra l’altro, che il “piccolo tubo” andrà ad intaccare le praterie di posidonia, una pianta acquatica protetta, anche a livello europeo, grazie al suo ruolo fondamentale nell’ecosistema marino, come non si parla mai sufficientemente dell’espianto di ulivi, della distruzione di muretti a secco o del fatto che con la realizzazione della centrale di depressurizzazione quell’area immensa passerà da area protetta ad area industriale, con conseguente perdita di suolo, pregio naturalistico, flussi turistici, rapporto antropizzato tra ambiente e popolazione e, chiaramente, di abbandono dell’agricoltura, già martoriata da altre problematiche.

Processo ai manager TAP

Forse ai sostenitori del progetto non interessano le lamentele di quattro contadinotti incapaci di apprezzare i vantaggi dello sviluppo, ma può essere utile ricordare loro che a breve (l’otto maggio prossimo) si aprirà un processo penale nei confronti dei più alti dirigenti di TAP e sarebbe opportuno riflettere su quanto appurato dalla magistratura.

Poiché i vertici di TAP hanno sempre dichiarato di agire a norma di legge e di avere in mano tutte le autorizzazioni, non si spiega come mai gli venga contestato dalla magistratura leccese l’inizio dei lavori (attività preparatoria, realizzazione del microtunnel, costruzione del PRT, posa della condotta tra microtunnel e PRT) su aree sottoposte a vincolo paesaggistico e/o vincolo idrogeologico e/o dichiarate zone agricole di “notevole interesse pubblico”, nonché in assenza di autorizzazioni ambientali, idrogeologiche, paesaggistiche ed edilizie dato che quella rilasciata con DM n. 223 dell’11.09.2014 e DM n. 72/2015 (compatibilità ambientale) era illegittima poiché adottata senza valutazione degli “effetti cumulativi” esterni ed interni, in violazione di svariate direttive, convenzioni, decreti e circolari. Tra l’altro viene appurata anche l’illegittimità delle varianti in corso d’opera, non sottoposte a procedura di verifica di esclusione della VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) e quindi non autorizzate.

Dunque, in assenza di autorizzazioni e in zone sottoposte a svariati vincoli, TAP procedeva comunque all’espianto illegittimo di ulivi – tra l’altro in periodo diverso da quello autorizzato – e alla realizzazione di recinzioni con jersey, rete metallica e filo spinato. Per fare ciò si è proceduto ad uno spianamento largo circa 7 metri con estirpazione di aree di macchia mediterranea, ovviamente in violazione alle prescrizioni autorizzative e in assenza di VIA.

Ma c’è di più! La magistratura ha anche contestato che – in violazione a qualsivoglia autorizzazione e con sprezzo ambientale – le aziende deputate alla realizzazione delle opere preparatorie in contrada San Basilio, dunque nel cantiere TAP, effettuavano uno scarico di acque reflue industriali, ovviamente in assenza delle dovute autorizzazioni, e in particolare depositavano attrezzature, materiali e rifiuti in un’area il cui dilavamento meteorico, a causa della mancante o incompleta impermeabilizzazione, interessava la sottostante falda acquifera contaminandola con sostanze pericolose, tra le quali cromo esavalente, nichel, manganese, arsenico e azoto nitroso, in concentrazioni superiori a quelle delle soglie di contaminazione delle acque.

La magistratura ha anche appurato che in altre zone contigue, interessate da precedenti incendi, erano state realizzate opere da parte di TAP in violazione del divieto di realizzazione di strutture e infrastrutture finalizzate ad attività produttive su soprassuoli percorsi da fuoco e comunque in assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica. Questi, a grandi linee, i reati contestati a TAP.

Tutto ciò è stato ampiamente denunciato da anni dai movimenti locali contrari all’opera del gasdotto, in particolare in riferimento alle mancate e, in alcuni casi già scadute, autorizzazioni. Ma la reazione dell’allora Ministro dell’interno fu di reprimere con la violenza ogni forma di dissenso e fu così che – con un’escalation di violenze autorizzate – il movimento No-Tap fu ripetutamente attaccato, non solo con la violenza fisica, ma anche attraverso gli strumenti di repressione quali fogli di via, obblighi di firma, sanzioni pecuniarie (fino a 10.000 €) e, nel 2017, 25 persone furono indagate e oggi sono a processo con l’accusa di manifestazione non autorizzata, violenza privata, minaccia, danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale.

A quanto ne sappiamo, gli unici a far danno sono stati i vertici di TAP e le aziende che si sono occupate a vario titolo di eseguire opere illegittime, in difformità dalle autorizzazioni o, peggio, senza autorizzazioni. Del resto a chi fa accordi con un dittatore (Aliyev) non è che poi importi tanto il rispetto di norme, leggi, ambiente o persone.                                                                                                            fonte