QUALCUNO SA CHE STA SUCCEDENDO IN ALBANIA?

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Il 30 giugno, in un clima di grande incertezza politica e di pesante scontro istituzionale, in Albania si sono tenute controverse elezioni municipali. Più che sbrogliare la matassa, non hanno fatto altro che avvilupparla ulteriormente. La scarsa partecipazione elettorale, l’incapacità dell’opposizione di centro-destra al premier “socialista” Edi Rama di approfittare delle mobilitazioni sociali degli scorsi mesi, ci parlano di una crisi che prosegue. Allo stesso tempo, per la prima volta da decenni, pare si stiano affacciando sulla scena nuovi movimenti sociali, imperniati soprattutto sugli studenti e sulle studentesse, ma che comincia a trascinare anche nuovi settori della classe lavoratrice, frutto di trent’anni di ristrutturazione sistemica: dai lavoratori dei call-centre, il cui unico requisito per l’assunzione è la conoscenza dell’italiano, a quelli dell’industria tessile, passando per i minatori delle miniere di cromo del Nord del paese.

Crisi e speranza, come scrive Arlind Qori, attivista della giovane organizzazione “Organizata Politike” (letteralmente “Organizzazione Politica” – qui la pagina fbhttps://www.facebook.com/orgpol/), attiva soprattutto tra i giovani studenti e lavoratori, principalmente nella capitale Tirana.

Crisi è speranza. In un quadro politico, economico, sociale e culturale imperniato sui dettami del neoliberismo e bloccato dalla falsa contrapposizione tra centro-destra (Partito Democratico) e centro-sinistra (Partito Socialista), la crisi può infatti essere lo “spazio” per la crescita di movimenti sociali e politici che possono puntare a destabilizzare il sistema, mettendo in discussione le sue stesse fondamenta.

Il tutto a pochi kilometri dalle sponde italiane. Una storia che ci tocca da vicino.