Quando arriva, la sua casa è fredda

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Quando arriva, la sua casa è fredda, il fuoco è spento, lui ha la febbre e trema forte, si mette a letto al freddo.

tratto da “L’ultima fila in alto”

La prima presentazione del libro “L’ultima fila in alto” è programmata per il 28 novembre, a Torino, presso Venaria. Libro scritto da Gianluca Bordiga, il suo primo, che in questo modo si presenta in veste di scrittore. È un’autobiografia ma è anche una narrazione molto suggestiva che racconta le vicende drammatiche e le vicende gioiose che hanno scandito la vita dell’autore. L’opera, man mano, arriva a raccontare l’impegno pubblico di Gianluca, iniziato nell’agosto 1985, fortemente caratterizzato dall’impegno straordinario della difesa del Lago D’Idro rispetto ad una brutta storia di gravissima speculazione dell’acqua di questo Lago d’origine glaciale, che bagna anche la terra di Bagolino, dove l’autore è nato, e cresciuto nella frazione a lago, Ponte Caffaro. La prima parte del libro è dedicata alla famiglia d’origine, quella paterna, alle tante drammatiche situazioni. Una di queste è quando il papà di Gianluca, di nome Fortunato ma sin da bambino viene da tutti chiamato Nato, resta solo a 15 anni; suo papà, nonno dell’autore, è sull’isola di Pantelleria a lavorare nelle miniere di Zolfo, pagano molto bene, la mamma muore per una infezione polmonare mentre il papà è sull’isola e i due figli Nato ed il fratello Enrico hanno dodici e undici anni, e all’età di quattordici anni Enrico decide di andare a raggiungere il papà. Ad un certo punto, Nato su incoraggiamento dei coniugi Maria Sueri e Giovanni Pelizzari che Nato chiama rispettivamente la zia Maria e lo zio Gioàn dell’albergo, sono i proprietari e gestori dell’Albergo Stella delle Alpi dirimpetto alla sua casa, inizia a frequentare la sartoria Bertelli, a Darzo, una frazione di Storo; una grande sartoria che fa anche scuola di sarto a decine di giovani. La zia Maria e lo zio Gioàn all’inizio del secolo erano andati negli Stati Uniti a cercare fortuna, avevano guadagnato dei bei soldi, sono tornati in Italia nella loro terra di Bagolino a causa della drammatica crisi del ’29, e sono tornati con i soldi sufficienti ad acquistare l’Albergo. Nato ricorderà sempre che la zia Maria, che in realtà non era zia e nemmeno una lontana parente, veniva da loro chiamata così perché si era affezzionata ai due fratelli Nato e Enrico, in quella drammatica situazione, li trattava come se fossero suoi figli; lei non aveva figli; e gli disse a Nato, “te và a ‘mparà ‘l mestér de sartùr che argót da mangià che ‘tel troe sèmpér”, in italiano “tu vai a imparare il mestiere di sarto che qualcosa da mangiare qui da me lo trovi sempre”. Per imparare un mestiere in quei tempi, lì in particolare alla Sartoria Bertelli, non si prendeva nulla, non si veniva pagati in alcun modo, anzi c’era da ringraziare che ti faceva imparare. È così che Nato riesce a frequentare la Sartoria per ben tre anni; non sarebbe stato possibile se non gli avessero fatto da famiglia soprattutto la zia Maria, e lo zio Gioàn. In tre anni Nato impara bene il mestiere. Nel frattempo ne succedono tante. Nato ricorda sempre quella volta d’inverno, tanta neve, all’epoca nevicava tanto anche in paese, gli viene la febbre mentre è al lavoro in Sartoria, non ci sono mezzi per portarlo a casa, al che chiamano il fornaio di Darzo, che lo carica sul piccolo cassone del suo motocarro Guzzi che usa a portare il pane, lo copre con delle coperte e lo porta a casa sotto la neve in quelle condizioni, trema forte; a casa ovviamente non c’è nessuno, Agnese detta ‘Gnesì non poteva essere informata perché non c’erano mezzi, quando Nato arriva la sua casa è fredda, il fuoco è spento. Lui si mette a letto, al freddo, trascorre una notte da solo e con febbre alta, tremando. Il giorno dopo sia la Gnesì che la zia Maria dell’albergo gli portano da mangiare e scaldano la casa. Passano giorni e Nato supera la brutta crisi. Temeva la Polmonite ma invece non si ammala. Nato guarisce bene e riprende ad andare a imparare il lavoro in Sartoria.

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