Quello della parità di genere è un tema molto serio

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E ovviamente non si può ridurre la discussione al fatto che avremmo dovuto avere 11 donne al Governo e ne avremo 8.
Peraltro se ci limitassimo a porre la questione in questo modo, i contestatori del sistema delle “quote” avrebbero vita facile nell’obiettare che la competenza deve prevalere sul genere e che le donne competenti trovano posto a prescindere dalle quote. Lo credevo anche io molti anni fa. Ma non è vero.
Tornando al Governo: meno donne hanno ruoli di responsabilità, più difficile sarà per le altre donne acquisirne. Funziona così. E il problema non è tanto fare in modo che il potere sia suddiviso equamente tra i generi, ma soprattutto far sì che la sensibilità, specificità, competenza, la differenza femminile abbia lo spazio che deve avere nella società. Perché se questo non accade la società è più povera, più fragile, più instabile.
Non le donne, la società tutta.
Kamala Harris, diventando la prima donna Vice Presidente degli Stati Uniti, ha detto che da quel momento ogni bambina americana avrebbe pensato che era possibile diventare Presidente. Ed è la verità. Una verità banale e disarmante insieme. Ma la più importante delle verità.
Tutto questo, la capacità di rendere possibile ciò che deve essere fatto (è in fondo questo il significato più profondo della parola “potere”), passa necessariamente dalla politica. Ed è ai progressisti che da sempre si chiede il coraggio di cambiare le cose, di renderle possibili.
Se il centro sinistra e in particolare il PD non avranno donne Ministre nel governo Draghi, però, non è semplicemente “colpa degli uomini”. Anzi.
Spesso ci siamo relegate in correnti a guida maschile, senza troppa convinzione, ma per comodità. Abbiamo lasciato che fossero gli uomini a “indicarci” in ruoli di responsabilità secondari. Abbiamo partecipato a congressi nei quali, nella migliore delle ipotesi, eravamo candidate ad essere “vice”. Abbiamo schernito chi di noi provava ad emanciparsi, considerandola per lo più ingenuità o smodata mania di protagonismo.
Abbiamo avuto paura di correre perché temevamo che, voltandoci indietro, non avremmo trovato nessuno a sostenerci. Nessun uomo e nessuna donna.
Forse quello che è successo ieri ci permetterà di cambiare passo. Di smetterla di chiedere che gli uomini al potere ci riconoscano uno spazio e di conquistarci, invece, quello stesso spazio, non come concessione ma come diritto.
È apprezzabile – e lo dico sul serio – che ci si ponga il problema di compensare nelle fasi successive di composizione del governo quel che è accaduto ieri con le nomine dei ministri. Ma non è e non può essere solo questa la risposta. È tempo di lavorare a una leadership femminile più solida e riconosciuta. Di mettersi insieme, limitando finalmente le reciproche invidie e i sospetti.
Spero che quel che è successo in queste ore serva a scuoterci. Non tanto e non solo per noi, ma per quelle bambine che, guardandoci, devono sapere che è possibile.
Anche diventare Presidente.