Quota 100 e Reddito di cittadinanza, Conte II saluta Conte I

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Ventiquattr’ore. Tanto sono bastate a Giuseppe Conte per archiviare quasi definitivamente l’era gialloverde. O meglio, per superare l’anima della vecchia alleanza fra Lega e M5s. E così facendo ha anche ripudiato un po’ se stesso, visto che di quell’esecutivo lui era il Presidente del Consiglio. Senza annunci clamorosi, quasi in sordina, come suo solito, il premier ha bocciato le due misure economiche simbolo di quella esperienza (insieme con i Decreti sicurezza di cui la modifica è stata già annunciata): Quota 100 e Reddito di Cittadinanza. Metaforicamente il Conte II ha strappato la foto più emblematica del Conte I, senza colpo ferire e come se lui in quell’immagine non ci fosse. Siamo nel gennaio 2019, Salvini e Di Maio sono sorridenti al suo fianco dopo la conferenza stampa in cui annunciavano il varo delle due leggi assistenzialiste. Sono passati solo 20 mesi ma sembra un secolo fa.

La prima (auto)sconfessione è arrivata sabato pomeriggio, al Festival dell’Economia di Trento. Lì per la prima volta Conte ha detto pubblicamente e senza mezzi termini che Quota 100 non verrà rinnovata, quindi niente più agevolazione per le persone che vogliono andare in pensione prima del consentito, a partire dal 2022. L’anno prossimo, in sostanza, sarà l’ultimo slot utile per chi vuole usufruire dell’anticipo. La notizia non è di quelle bomba, anche perché la mancata conferma di Quota 100 era nell’aria, i sindacati nelle settimane scorse hanno già cominciato a fare riunioni al ministero del Lavoro per evitare che dal 2022 si verifichi un altro scalone, visto che le disposizioni della Legge Fornero saranno le uniche da seguire per chi è alla fine della propria vita lavorativa. Certo è che una cosa sono le anticipazioni dei giornali o le riunioni preparatorie, altro è un impegno pubblico, peraltro preso davanti a un pubblico “specializzato”, quello appunto del Festival di Trento. Non a caso, Matteo Salvini, chi più di tutto ha voluto la misura, è subito salito sulle barricate, promettendo battaglia politica.

Se tutto sommato la cancellazione di Quota 100 per il secondo Conte, quello attuale, non rappresenta un grande costo politico, ben diversa invece è la sortita contro il Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del “suo” Movimento 5 Stelle. Il premier infatti ha molto criticato come stia procedendo l’attuazione del sussidio in questi primi 18 mesi di vita, soprattutto per la parte attiva e cioè quella che dovrebbe trasformare una misura solamente assistenziale in una capace di creare occupazione. Come scrive il Corriere della Sera, non smentito da Palazzo Chigi, il premier sarebbe molto infastidito dal fatto che l’operato dei navigator – i dipendenti pubblici che dovrebbero recapitare a chi percepisce il Reddito universale le offerte di lavoro – sia molto sotto le aspettative. “Voglio che una soluzione sia operativa entro sei mesi, il reddito di cittadinanza in questo modo rischia di essere una misura assistenziale senza progettualità”, avrebbe detto ai suoi collaboratori.

Del resto se si vanno a snocciolare i dati forniti dall’Anpal e dal ministero del Lavoro, la bocciatura del Reddito di cittadinanza è nelle cose. Su una platea di un milione e duecentomila percettori del sussidio pronti a lavorare, i navigator sono riusciti a presentare solo 220mila offerte di lavoro. Un magro bottino, che di fatto declassa il reddito di cittadinanza a una versione riveduta e ampliata del Reddito d’inclusione varato dai precedenti governi di centrosinistra. Ossia una misura che serve a combattere la povertà redistribuendo soldi pubblici a chi ne ha fatto richiesta ma non serve a creare nuovo lavoro né a formare e riqualificare i percettori. Insomma, l’impianto in cui ha fortemente creduto Luigi Di Maio – e il suo uomo all’Anpal, Mimmo Parisi – non ha funzionato alla prova dei fatti.

Di Maio e Salvini, quindi. I due che un anno e mezzo fa pensavano di poter agevolmente telecomandare un premier semi-sconosciuto messo lì a palazzo Chigi per protocollarne le decisioni.