RACCONTI PRIMA E DOPO

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libri

TELESCOPE. Racconti da lontano

Ideato e diretto da Lara Facco

Editoriale e testi a cura di Annalisa Inzana

Ricerca ed editing Francesca Battello, Camilla Capponi, Barbara Garatti, Marta Pedroli, Claudia Santrolli, Denise Solenghi, con la collaborazione di Giulia Notarpietro

RACCONTI

“Prima e dopo”, una rilettura di Mascarilla 19 – Codes of Domestic Violence a un anno (o quasi) di distanza, di Annalisa Moschini

Il progetto Mascarilla 19 – Codes of Domestic Violence promosso dalla Fondazione In Between Art Film compie un anno. L’unicità della situazione odierna permette di andare oltre il rito della preview per cogliere l’opera nel momento più significativo, che in questo caso è il dopo. I film di Iván Argote, Silvia Giambrone, Eva Giolo, MASBEDO, Basir Mahmood, Elena Mazzi, Adrian Paci e Janis Rafa si completano infatti ora che il gap tra violenza immaginata e violenza esperita si è risolto. Una violenza che a distanza di un anno si è rivelata figlia di antichi traumi, come ci rammenta Silvia Giambrone. Citando il pedagogo settecentesco Sulzer, la Giambrone evidenzia come il ciclo tossico dell’abuso parta dalla mala educazione sentimentale impartita dai genitori che, al fine di ottenere l’obbedienza dei figli, troppo spesso non esitano a spezzarne la volontà. Un bambino annientato non scorda però il trauma vissuto durante l’infanzia e si evolve in un adulto disconnesso: quando i desideri reconditi non trovano sfogo a causa di un’educazione repressiva si assiste a una crescita costante del malessere, con esplosioni tanto incontrollate quanto intense. Condonati da una cornice entro cui tutto è possibile come le mura di casa, variante odierna del confino – nientemeno che una forma di tortura medioevale –, tali sfoghi partono dalla famiglia per riverberarsi all’esterno. Prendendo Domestication della Giambrone come punto di partenza di questo fenomeno, il film che ne è la continuazione ideale è Flower Blooming In Our Throats di Eva Giolo, claustrofobico riassunto per frammenti di un microcosmo familiare in cui la vittima trova “rassicurazione” nel continuo abuso del carnefice. Quando le giornate trascorrono permeate dalla violenza diventa infatti difficile pensare che si possa vivere altrimenti e la routine diventa così una consuetudine narcotizzante. Il tassello successivo ce lo fornisce Eva Mazzi con Muse, reminder di come l’opposizione all’abuso venga pagata a caro prezzo. La punizione inflitta a figure mitiche come Danae, Callista, Leda, Europa, Aretusa ed Elettra è ancora in auge, “Abducted, violated, transformed”. Una trasformazione che è in realtà una mutilazione: vengono recise quelle vibrisse invisibili a cui ogni essere umano si affida per stringere contatti (e chiedere aiuto) con l’esterno. Lo vediamo in Daily Routine dei MASBEDO, dove la protagonista è isolata, ma non a causa del lockdown. La dimora postmoderna che le fa da sfondo è una prigione sia fisica che mentale, poiché la solitudine è una misura fondamentale al fine di indebolire la vittima. Una voce fredda, proveniente da una distanza siderale, manipola in assenza: una voce che potrebbe esistere anche solo nella psiche della protagonista. E ritorna alla mente 2001: Odissea nello Spazio, però stavolta la fonte del tormento non è più una self-learning machine ante litteram ma l’internalizzazione dell’abuso quotidiano. Tuttavia c’è anche chi, stanca di essere vittima, diventa carnefice. Lacerate di Janis Rafa è un tentativo legittimo di ribellione, perché la violenza ripagata con la violenza diventa autodifesa. Ma non tutte sono capaci di una risposta simile, come le donne che si rivolgono a Espacio Seguro, titolo del film di Iván Argote ispirato all’omonimo servizio offerto dalla Secretaria de la Mujeres di Bogotà. Risposta istituzionale alle violenze domestiche durante la pandemia, come racconta la responsabile Diana Rodriguez Franco, offre alle vittime il sostegno necessario a fuggire dal degrado. Testimonianza di una di queste fughe ce la offre la voce di Daria Deflorian da Vedo Rosso di Adrian Paci. Testo di fiction narrato dal punto di vista di una donna abusata, il pressoché aniconico lavoro di Paci ricostruisce una storia che, per universalità, riassume in sé tutte le altre. In conclusione una riflessione globale sul fenomeno arriva da Basir Mahmood con Sunsets, Everyday, lavoro d’impronta sia metafilmica che forense. Sul set cinematografico viene pedissequamente ricreato un interno entro cui verrà recitato il dramma del marito che abusa la moglie, l’artista però ritrae l’azione come se non dovesse mai avere fine e il titolo ce lo ricorda: in una qualsiasi località terrestre, al rientro dal lavoro, ogni giorno ci sarà un uomo che si rifà su di una donna. Non ne intuiamo il motivo, così come non riusciamo a diagnosticare la fragile salute mentale di entrambi.

Ad analisi compiuta vediamo finalmente come le pellicole di Mascarilla-19, create ragionando su una violenza immaginata, su situazioni ipotetiche, siano diventate nel giro di dodici mesi icona di un argomento che ancora non aveva una rappresentazione codificata. D’ora in avanti quanti si vorranno misurare con il tema della violenza domestica ai tempi della pandemia non potranno che dare un occhio a questi otto lavori, nati da un momento d’emergenza in cui anche la figura dell’artista si è trovata nel ruolo della vittima.

Da Aracne e Penelope alla casalinga di Voghera, di Carla Guidi

Un’interessante attuale mostra insegue il “filo rosso” del discorso espresso dalle arti tessili – Protext! Quando il tessuto si fa manifesto, a cura di Camilla Mozzato e Marta Papini al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Questa ci narra ancora una volta, e non invano, dello stretto rapporto tra tessitura, stoffa, pelle e corpo (che come “soggetto e sistema” fu liberato in Europa dalla seconda ondata del femminismo) non secondariamente attraversato da un particolare linguaggio dell’arte, praticato principalmente dalle donne. Inoltre la mostra approfondisce la visibilità storico-politica e di simbolismo del vestiario, del manifesto, dello stendardo.

La voce silenziosa delle donne intente a cucire e tessere invita a citare storicamente la categoria delle ridotte al silenzio e violentate, come Tacita Muta; l’attesa infinita e depressiva di Penelope, la punizione di Aracne che aveva osato sfidare la tradizione e criticare, attraverso i suoi ricami, i comportamenti scorretti degli dei, infine la casalinga di Voghera, addirittura ridotta a un’espressione idiomatica del lessico giornalistico, con infinite variazioni di senso, ma tutte coniugate con una democratica inferiorità di competenza culturale. Queste ultime variazioni vengono esaminate ed esposte dall’enciclopedia online Wikipedia e sulla stessa enciclopedia troviamo anche delucidazioni dettagliate sulla vera origine dell’8 marzo come Giornata internazionale della donna, che persone di cultura attualmente si ostinano ad attribuire a un luttuoso avvenimento di centinaia di operaie nel rogo di un’inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York.

Il momento storico che stiamo attraversando ci invita alla riflessione sulle conseguenze sintomatiche della liquidità sociale segnalata da Bauman: in poche parole rapidità negli spostamenti, riduzione dell’attenzione a 8 secondi (meno di un pesce rosso), scomparsa del desiderio, equivalenza dell’apparire all’esistere. Allora, cosa ci stanno segnalando esplicitamente queste straordinarie artiste? Intanto il recupero della manualità come valore, avendo attualmente noi toccato il massimo della sua svalutazione, cioè lo stato di schiavitù. Poi il rispetto dell’ambiente, recuperando non solo i capi d’abbigliamento, ma dando loro una seconda vita. Infine il simbolico recupero della voce, del linguaggio, del messaggio politico che ci riguarda tutti, creando una variazione sul tema e realizzando il fare arte in quanto “organizzatrice del vuoto” come ci ha segnalato J. Lacan… oppure essere creativi entrando in quello “spazio transizionale” che, secondo W. Winnicott, dispone alla capacità di navigare nelle acque profonde dell’inconscio per poi riemergere con un messaggio originale che conserva la dimensione dello spazio e del movimento, storicizzato nella società a cui si riferisce.