Rapporto norvegese: l’integrazione costa miliardi e funziona solo la metà delle volte

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Secondo il recente rapporto del centro statistico norvegese, il costoso ‘piano di inserimento’ decennale sarebbe riuscito ad integrare nel mercato del lavoro del Paese scandinavo solamente la metà dei migranti. Per altro in maniera insoddisfacente.

Tra il 2005 e il 2016, lo stato norvegese ha speso 65,8 miliardi di corone (poco più di 6 miliardi e mezzo di euro) per far integrare 37.000 migranti attraverso il regime obbligatorio di introduzione. Nel 2017, tuttavia, solo il 55 percento di loro risultava impiegato, secondo il quotidiano Aftenposten.

Il rapporto di Statistics Norway mette in evidenza in particolare come la percentuale di coloro che hanno intrapreso degli studi o un impiego, sia aumentata sì, nei primi anni del programma statale, ma sia andata poi stabilizzandosi per poi invertire la tendenza e diminuire progressivamente.

Lo scopo del cosiddetto schema di introduzione è “rafforzare la capacità dei gruppi di immigrati appena arrivati ​​di entrare rapidamente nel lavoro o nell’istruzione”, momenti “cruciali per la partecipazione alla comunità e l’ottenimento dell’indipendenza finanziaria”, spiega il rapporto.

Più di otto anni dopo l’avvio del programma introduttivo tuttavia, solo il 53 percento ha trovato un impiego, dove, per impiego, si intende lavorare almeno un’ora alla settimana. Se per impiego si vuol intendere un lavoro da 35 o più ore, allora la percentuale scende al 33%, in una popolazione che conta il 70% di livello di impiego a tempo pieno.

Il 25 percento si è rivelato in congedo malattia a lungo termine o in assistenza sociale a causa della ridotta capacità di lavoro, sempre secondo il rapporto.Migranti in Grecia: bisogna ridistribuire le quote tra gli Stati membri dell’UE
I migranti provenienti da Somalia, Palestina, Iraq, Iran e Siria si sono rivelati in fondo alla classifica mentre i loro coetanei provenienti da Eritrea, Etiopia e Myanmar hanno mostrato statistiche decisamente migliori.

Il problema per altro, è anche che la maggior parte dei migranti riesce ad ottenere solo posti di lavoro poco remunerati, diventando autisti, addetti alle pulizie o venditori magari ambulanti. Molti avrebbero qualifiche ben più alte rispetto al lavoro che vanno a svolgere e di fatto né loro stessi, né la Norvegia traggono alcun beneficio dall’istruzione che acquisita nel Paese di origine.

“Si può affermare che fino al 70% degli uomini e il 60% delle donne con istruzione universitaria o liceale siano sovra-qualificati rispetto al lavoro al lavoro che fanno, cioè svolgano un lavoro che non richieda affatto un’istruzione superiore”, conclude il rapporto.

Un quadro simile è emerso nella vicina Svezia dove un recente sondaggio dell’omologo istituto statistico, Statistics Sweden, ha rivelato che solo uno su dieci dei 163mila immigrati giunti nel Paese al culmine della crisi dei migranti oggi è impiegato. Cresciuti sono anche i tempi di inserimento nel mondo del lavoro – dai due/tre anni degli anni ’80 ai sei/nove anni degli anni ’90, per peggiorare ulteriormente nel nuovo secolo.