Renzi: “Abbiamo mandato a casa Salvini, ora pensiamo alla crescita”

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A Ferragosto ha confermato di esser dotato di una certa velocità nel capire prima di altri le “traiettorie” della politica nazionale, non da oggi tutti gli addetti ai lavori lo sogguardano, per capirne in anticipo le mosse e ora, alla vigilia di Capodanno, Matteo Renzi anticipa a La Stampa la sua versione della verifica che dovrebbe rilanciare il governo Conte. Con una significativa premessa: «Che il reddito di cittadinanza sia un sussidio che non funziona, lo dice la Guardia di Finanza, ma oramai lo stanno capendo tutti…».

Buttarla giù dura non significa far irrigidire i Cinque stelle e rinunciare ad una riforma?
«Ma io credo che non occorra aver fretta, bisogna lasciare ai Cinque Stelle il tempo di metabolizzare il cambiamento. Ma al tempo stesso è arrivato il momento di cambiare quel meccanismo. Con un’altra politica: al Sud bisogna aprire cantieri, anziché continuare a dare sussidi».

Nel Palazzo sembra si siano messi l’anima in pace: il governo dura. Al di là della volontà dei leader, lei compreso, è tutto così semplice?
«Penso che l’Italia meriti stabilità. Una situazione di governo tranquilla sarebbe ideale per tutti, anche perché più siamo stabili, più possiamo cogliere la felice opportunità del calo del costo degli interessi sul debito. Quando sono arrivato a Palazzo Chigi spendevamo 77 miliardi di euro all’anno, nel 2020 saranno 59 miliardi. Tutto merito del lavoro della Bce e delle nostre riforme. Più c’è stabilità, meno costa il debito. Ma dobbiamo riconoscere che stabilità non può voler dire tirare a campare. I populisti dovevano far sparire la povertà, hanno fatto sparire solo la crescita. La vera scommessa del governo è proprio questa: è urgente fare un decreto crescita perché l’Italia è ferma».

Non si rischia una verifica di governo nella quale ognuno sventolerà la sua bandierina propagandistica, compresi voi?
«Come Italia Viva daremo un contributo serio. Teresa Bellanova lo sta facendo sull’agricoltura, con Elena Bonetti finalmente sono state stanziate le prime risorse per la famiglia. Abbiamo pronta la nostra proposta sull’Irpef. Ma la cartina di tornasole per capire se davvero si fa sul serio è il Piano Shock per le infrastrutture: non porteremo slide, ma un vero e proprio testo di legge. Si tratta di sbloccare 120 miliardi di euro per scuole, ponti, dissesto, strade, ferrovie. Rilanciamo il Pil, diamo lavoro anziché sussidi e soprattutto facciamo cose utili all’Italia».

Conte ha fatto capire di essere pronto a ritoccare quota 100, forse i Decreti sicurezza, forse il Reddito di cittadinanza: ci crede?
«Deve chiederlo a lui. Quando ho sentito il Presidente del Consiglio spiegare che in questi mesi ha dovuto rimediare ai disastri fatti dal Governo precedente, ho molto apprezzato. Mi pare un sussulto di consapevolezza tardivo ma realistico. Adesso si tratta di capire se il Conte 2 sia davvero cambiato rispetto al Conte 1».

Sulla prescrizione Conte sembra allineato ai Cinque Stelle: lei farà buon viso a cattivo gioco?
«L’abolizione della prescrizione è un obbrobrio. Il processo senza fine, che può lasciare un cittadino sotto indagine per una vita, non permette di avere giustizia ma nega la giustizia. O il Guardasigilli Bonafede capisce che deve cambiare approccio, oppure saremo molto presto “costretti” a votare assieme a Forza Italia: in Senato c’è già una maggioranza favorevole al ritorno alla normativa a suo tempo voluta dal ministro Andrea Orlando. Credo che il Pd non possa che essere favorevole».

Non sarà l’implosione nell’emisfero Cinque Stelle a portarsi via la legislatura?
«Non sono un grande esperto di grillismo. E non so se stiano litigando davvero o no. Mi pare di poter dire però che il sogno di rappresentare l’alternativa populista al sistema tradizionale sia fallito. Il M5s funziona o meglio funzionava in campagna elettorale, ma poi le bugie elettorali esplodono alla prova del governo».

Lei scommetterebbe un milione di dollari sulla conclusione naturale della legislatura?
«Tutta la partita oggi è in mano al Governo e alle forze politiche della maggioranza: se sono seri e lucidi, si fa un programma serio e si arriva al 2023. Piano Shock, riduzione tasse, investimenti sulla famiglia. Meno populismo, più cantieri. Lo saranno? Non so, al momento direi che c’è il 50% di possibilità di arrivare fino in fondo».

Ad ogni crisi il debito si ingrossa, l’emigrazione giovanile è di massa, la classe politica è incapace di scelte impopolari: il decennio si chiude in modo disastroso, come documentato da Cottarelli su La Stampa, ma senza uno scatto, il prossimo decennio non rischia di essere pericoloso per l’Italia?
«Gli anni 20 sono stati molto complicati nel secolo scorso e rischiano di esserlo altrettanto in questo secolo se la comunità internazionale non avrà piena consapevolezza della situazione. Diventerà finalmente l’Europa dei figli o vivremo ancora solo nel ricordo dei padri fondatori? Servono investimenti sulle periferie delle città europee, un approccio keyenesiano. Invece che l’austerity, un grande sforzo economico su cultura, big data, innovazione, energia. L’Italia deve riscoprirsi pivot centrale in Europa. Quanto alle scelte impopolari: ho perso il voto dei sindacati con il Jobs Act, di una parte dei cattolici sulle Unioni Civili, degli insegnanti introducendo il merito con la Buona Scuola. Diciamo che qualche politico che non ha paura di fare scelte impopolari c’è ancora».

In caso di scioglimento anticipato il Pd scommette sull’emancipazione di Conte dai 5 Stelle: per togliere spazio a lei?
«Ho molto rispetto per il Pd. Se Zingaretti ha fatto questa scelta, avrà avuto i suoi motivi. Io non polemizzo né con Nicola né con Conte. Se pensano che Conte possa essere il riferimento del mondo progressista, prendo atto. Per noi non è così: è il premier d’emergenza, di una situazione d’emergenza. Stiamo tutti cercando di aiutarlo e dargli una mano. Ma abbiamo idee diverse sul futuro».