Renzi e i suoi quattro amici. Nemici dei diritti umani

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Prima derubricati dai maggiori giornali a prodotto di comune venalità sulla quale al più sorridere, quindi frettolosamente dimenticati, i salamelecchi di Matteo Renzi al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman rivelati da Domani meritano qualche ulteriore riflessione: non solo sulla presunta identità liberale dell’ex premier e sulle sue idee in politica estera, ma soprattutto sul mondo riservato che si intravede dietro quelle quinte mediorientali.

La questione è ben più interessante dell’eventuale diritto di un senatore di sputtanare l’Italia nel pianeta, o dell’ingaggio cui si fa risalire la comparsata araba, 80mila dollari, nel caso una mancia quasi offensiva anche per il politico irrilevante di un Paese irrilevante. In realtà quel denaro era già nelle tasche di Renzi, quale gettone annuale che percepisce come consulente della fondazione saudita organizzatrice dell’amichevole incontro.
I quattro “baluardi” contro gli estremisti

Prestandosi ad una manifestazione che intendeva mimare la riammissione del quasi-re saudita nel consesso internazionale, dove Mohammed bin Salman è un appestato (i leader europei evitano perfino di avvicinarlo per non essere fotografati con lui) Renzi ha dato prova di coerenza, non di avidità: egli davvero crede, o preferisce credere, che Mbs sia un “baluardo contro l’estremismo islamico”.

E infatti aveva regalato una qualifica altrettanto entusiastica, “salvatore del Mediterraneo”, ad un altro dittatore che combatte ‘estremisti’ e ‘terroristi’, intesi come i Fratelli musulmani, con metodi altrettanto brutali, al Sisi. Alleati di al Sisi e di MbS sono altri due amici di Renzi, Netanyahu e Mohammed bin Zayed, uomo forte degli Emirati arabi, tra i finanziatori della fondazione renziana Open.
La lobby del nemici dei diritti umani

Cosa hanno in comune i quattro baluardi? Sono tutti nemici giurati non solo dei Fratelli musulmani, ma anche di ogni opposizione o dissidenza ostile ai sodalizi di generali e di teste coronate che governano Paesi arabi con le sale di tortura. Sono dunque nemici dei diritti umani, al pari dei loro avversari iraniani. Non sono compatti come una lobby vera e propria, ma certo rappresentano una filiera poderosa, sommando enormi disponibilità di petro-dollari sauditi ed emiratini, strumenti di sorveglianza (israeliani), think-tank di scuola culturalista, accessi ai media legati alla destra occidentale, contiguità con grandi imprese (innanzitutto petrolifere) a loro volta influenti nella politica e nell’editoria. Renzi non ha scelto per caso i suoi amici.

Nulla esclude che le sue convinzioni non siano opportunistiche. Ma di sicuro difendendo al Sisi e MbS, Renzi fa propria una prospettiva che è totalmente estranea a qualsiasi onesto liberalismo: semmai spartisce con quelle destre dure che considerano i diritti umani un trastullo per imbecilli. L’auto-smascheramento di Renzi non ha colpito l’informazione italiana, dove del resto le sue convinzioni sono i retro-pensieri di tanti e le identità ideologiche spesso sembrano vestiti di Arlecchino.

Ma è perlomeno bizzarro che nessuno si chieda, da un’angolazione semplicemente ‘patriottica’, se non occorra esercitare la circospezione verso chi gravita in giri di fondazioni internazionali che operano come agenti di politica estera, per non dire di propaganda e di manipolazione.
La denuncia di Foreign Affairs

Grossomodo è il problema che poneva undici anni fa Foreign Affairs. La rivista americana stimava in un centinaio i Paesi che affidavano a società di lobbying il compito di proteggere e promuovere l’interesse nazionale con le pratiche spregiudicate che sarebbe imprudente affidare alle ambasciate.

E’ assai probabile che nel frattempo se non il loro numero sia aumentata quella che Foreign Affairs allora chiamava la “privatizzazione della diplomazia, con un crescente impatto sul modo in cui gli Stati Uniti conducono la propria politica estera” (poiché i committenti sono quasi sempre governi, forse sarebbe più esatto parlare di relativizzazione della sovranità).

I contratti in uso di solito definiscono le attività di lobbying con la formula “Identificare gruppi di interesse alleati del Cliente e coordinarne il supporto”. Trovare e coordinare alleati non significa necessariamente comprare: ma chi entra nel network ottiene presumibilmente vantaggi, non ultimo quello di diventare membro di un sodalizio ramificato e potente.
Lobbing, la privatizzazione delle diplomazie

E affidarsi alle società di lobbying a quanto pare dà risultati. Altrimenti non capiremmo, ad esempio, perché negli ultimi anni Arabia saudita ed Emirati da una parte, Qatar dall’altra, abbiano pagato oltre cento milioni di dollari a società di lobbying americane per screditare gli avversari, cooptando in gran segreto, innanzitutto negli Stati Uniti, politici, imprese, accademici, opinionisti, diplomatici, presumibilmente spioni.

Queste attività ovviamente sono riservate. Ma talvolta capita che una fuga di notizie illumini quel mondo d’ombre. Per esempio due anni la società Consulum, che lavora per Arabia saudita e governo di Hong Kong, mise allo studio un progetto per ‘riabilitare’ l’ìmmagine internazionale del generale Haftar, di cui si cominciavano a conoscere i misfatti.

In seguito abbandonato per motivi che Consulum non precisa, il progetto fu affidato ad un diplomatico britannico in congedo temporaneo, non uno qualunque: il vice-capo dell’ufficio Africa e Medio Oriente del Foreign Office. E’ probabile che in seguito Haftar si sia rivolto ad un’altra società di lobbying, come del resto il suo avversario al Serraj (il governo di Tripoli ha pagato due milioni di dollari all’americana Mercury per tentare di smussare l’ostilità di Trump).
E se la lobby avesse agito contro il governo Conte?

RenziSe la politica estera americana subisce influenze straniere, come affermava Foreign Affairs, non è possibile che qualcosa di analogo accada, fosse pure in micro, anche in Italia? Non si tratta di indulgere al complottismo, o di convincersi che il governo Conte sia stato sgambettato da un “lobbista al servizio di poteri non tanto italiani o europei, quanto extra-europei”, il sospetto esotico avanzato da Barbara Spinelli. Ma sarebbe ora che cominciassimo a domandarci se rischiamo di scoprire che segmenti rilevanti della nostra sovranità sono profilati all’estero, e non solo a Washington come da tradizione.

Anche per questo converrà prestare attenzione a certi giochi di sponda, come pure alla nostra informazione, dove da tempo il lobbyismo globale non ha difficoltà a trovare volenterosi associati. La questione è attuale, i negoziati in corso per la formazione del nuovo governo investiranno gli assetti della Farnesina e dei servizi segreti. Uno dei non molti meriti che si potevano riconoscere al governo Conte2 era la sua estraneità alle lobbies e al capitalismo di relazione. Sarebbe assai triste scoprire che con il nuovo esecutivo rientrano in gioco tanto i portavoce di alcune grandi corporates quanto filiere internazionali parecchio opache.                                                                                                                  Di Guido Rampoldi