RIFORME ELETTORALI E ISTITUZIONALI: UNA COSTITUENTE PER NON TORNARE A CRAXI

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Una richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari. Un’altra per modificare la legge elettorale. Una laboriosa trattativa in corso tra i partiti sempre per cambiare la stessa legge elettorale, varandone una nuova di stampo proporzionale, con probabile sbarramento del 5 per cento e diritto di tribuna per le forze politiche che non raggiungono la soglia.
Su tutti questi fronti i partiti si sono messi in moto: per toccare ancora una volta i meccanismi basilari che regolano il funzionamento della nostra democrazia e del sistema politico.
Al di là delle singole proposte e delle loro diversità, c’è tuttavia in esse un tratto comune e anche un rischio legato alla loro portata.
Hanno in comune l’intenzione di cambiare ancora una volta le regole del sistema senza avere una visione di lunga prospettiva.
E da qui nasce il rischio: quello di partorire ancora una volta riforme che rischiano di durare l’arco di una legislatura o quello della vita di una maggioranza. Con una ulteriore, curiosa connotazione che riguarda il possibile ritorno al proporzionale più o meno puro: quella di uno sconcertante ritorno al passato, allo spirito della prima Repubblica crollato, oltre che per Tangentopoli, per la sua ingovernabilità e la frammentazione partitica che caratterizzava la rappresentanza.
La curiosità, o la vendetta della storia, sta nel fatto che il progetto in costruzione somiglia sorprendentemente a quello che, con la sua idea di Grande Riforma, provò a mettere in campo a partire dal 1979 l’allora leader del partito socialista Bettino Craxi. Che per rimediare all’instabilità politica provocata dalla frammentazione partitica propose proprio l’aggiornamento della legge elettorale proporzionale allora in vigore attraverso l’introduzione di uno sbarramento al 5 per cento, sull’esempio tedesco.
Ora, che la legge elettorale vada riformata siamo tutti d’accordo. Anche se non stiamo facendo tesoro dell’esperienza accumulata dai disastri provocati da tutti gli estemporanei interventi dell’ultimo ventennio.
Questa brutta esperienza dovrebbe suggerire una maggiore prudenza. Per evitare appunto ulteriori, estemporanei ritocchi destinati a durare il tempo brevissimo di una stagione politica.
Gli interventi sulle regole dovrebbero essere sempre largamenti condivisi. Anche perché, come in questo caso, limitarsi al ritocco della sola legge elettorale non risolve il problema. Il tema della rappresentanza infatti dovrebbe andare di pari passo con quello della governabilità. Per questo limitarsi alla legge elettorale è riduttivo. Per modernizzare effettivamente il sistema è da tempo necessario anche un intervento sull’architettura costituzionale, a cominciare dalla forma di governo. Ma un compito così impegnativo, alto e nobile, non potrà mai essere assolto da questo Parlamento, troppo diviso e concentrato sugli interessi contingenti di questa o quella forza politica.
Ci vorrebbe un’apposita Assemblea costituente eletta con garanzia di rappresentanza di tutte le sensibilità politiche presenti nel nostro Paese. Un’assemblea che darebbe la necessaria sacralità a tutte le modifiche da introdurre con la speranza che i nuovi assetti, come nel dopoguerra, durino, funzionino e siano rispettati almeno per qualche decennio.
Per non rischiare di tornare al passato, per non riportare indietro l’orologio della nostra storia istituzionale al 1979 di Bettino Craxi, ci vorrebbe un colpo d’ala, un progetto ambizioso che l’attuale maggioranza di governo potrebbe promuovere. Per trasformare in costituente questa legislatura e finalmente risolvere sia i problemi della frammentazione e della rappresentanza che quelli della governabilità di un sistema sempre più instabile e ingovernabile.

Primo Di Nicola