Ringraziate il soldato Di Maio

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Luigi Di Maio

Quando sarà tradotta l’ultima monumentale fatica di Thomas Piketty, “Capital et idéologie”, potremo leggere in italiano la verità lapalissiana che i furbi ci hanno voluto tenere nascosta da sempre: la disuguaglianza non è naturale, ma ideologica e politica. Il primo ad averlo scoperto è stato, manco a dirlo, Karl Marx, il quale aveva intercettato una cosa che oggi sarebbe quasi banale, e cioè che il padrone vince la lotta di classe e domina la società perché è proprietario dei mezzi di produzione e dello Stato.

Da allora, e per tutto il novecento, la politica si è divisa tra chi ha negato questa evidenza (la destra), e chi si è attribuito la lezione (la sinistra). Ma, disgraziatamente, non è stato così semplice. Le commistioni hanno dato vita a innumerevoli posizioni intermedie, che hanno catturato il consenso e favorito il controllo sociale senza cambiare il sistema, e che hanno persino offuscato la limpidezza di quanto era stato scoperto. I dominanti hanno vinto producendo in tutti la convinzione che la disuguaglianza fosse una questione naturale.

Il millennio si chiude con la destra e la sinistra che si affrontano a livello globale col seguito violento delle tifoserie, e con una nuova sconcertante scoperta: la maggior parte dell’umanità fatica a riconoscere la realtà economica e sociale. A quest’agnizione, la sinistra abbandona il suo genoma illuminista e si unisce alla destra nella mistificazione generale. In Italia, come altrove in Occidente, destra e sinistra si scavalcano nelle politiche e si distinguono per generiche questioni di stile, morale e civile. L’alternanza e la loro contrapposizione offrono all’elettore una scelta illusoria che agevola il mantenimento del sistema.

Fino a quando, per lo Stivale, un inconsapevole epigono di Marx, Giuseppe Piero Grillo da Genova, non comincia a predicare la fine della mistificazione. L’onestà non è più trattata alla stregua di un sentimento, ma s’avvia ad essere il fondamento delle questioni sociali. La trasparenza diventa indispensabile alla democrazia, e la politica vira dalle narrazioni contrapposte agli obiettivi reali. La posizione ideologica è considerata inutile, come è inutile al risultato della partita il posto in cui si è seduti allo stadio.

Ma onestà, trasparenza, obiettivi condivisi, alla fine smantellano la disuguaglianza sociale, e realizzano ciò che Marx auspicava per la sua società dell’avvenire. Essi conseguono, cioè, un discreto compromesso tra la celebrazione dei meriti e la soddisfazione dei bisogni. Liberano il potenziale egualitario già inscritto nella democrazia compiuta, mentre denunciano l’inganno e l’abuso dei proprietari e del loro ordine.

Ora, se il problema del Movimento è con quale partito deve realizzare il programma a 5 stelle, questo è il più falso dei problemi. Il M5S propone un modello di democrazia compiuta (cioè con la partecipazione attiva di tutti i cittadini alla vita pubblica) che si scontra con la democratura destra/sinistra. Per quest’ultima non è importante il valore della cittadinanza, ma del sistema che porta alla rappresentanza, dove si compie lo scontro tra le parti contrapposte, tra gli interessi dominanti. Vengono ascritte alla guerra delle regole le leggi elettorali che l’Italia genera ad ogni governo.

Con l’ultima legge elettorale, e con quella che s’avvia ad essere composta, non sono previsti partiti vincitori. E, a meno di un universale ravvedimento del popolo italiano, il M5S sarà costretto a condividere con altri l’onere di governo. Avere preferenze tra la destra e la sinistra, significa considerare l’apparato mistificatorio dell’uno meno perfido di quello dell’altro; significa non aver capito la lezione della storia e la missione del Movimento. E se non sarà chiara l’inutilità di una scelta, sarà sicuro che gli obiettivi reali verranno sacrificati agli interessi di tribuna, di tifoseria.

Dobbiamo renderci conto che gli altri non hanno niente da dire, che essi hanno il solo interesse a mantenere inalterato l’esistente, dentro cui amministrare il vantaggio privato. Siamo gli unici a voler cambiare la società, con un metodo per ora incruento. Se non si capisce questo semplice fatto, vuol dire che si fa ancora parte delle tifoserie reazionarie e conservatrici e non del M5S. Inutile arrovellarsi ancora per stabilire se Di Maio sia di destra o di sinistra, anche ora che si è dimesso. Di Maio è un soldato del progetto a 5 stelle, non ha avuto interessi per sé ma solo obblighi. Le sue dimissioni aprono ad una trasformazione del Movimento, ad un adeguamento di strategia con l’attualità politica.                     (Giuseppe Di Maio)