Riscaldamento globale, la “pandemia” che minaccia l’intero genere umano

0
94
ambiente
ambiente

Non è per procurare allarme, ma al contrario, per limitare il rischio di allarmi futuri

Che non bisogna dimenticare che la Terra con i suoi circa 8 miliardi di abitanti è afflitta da due pandemie. Una recente con poco meno di due anni di vita; l’altra di più antica data e durata.
Le due pandemie

La prima è la pandemia da Covid-19, che da oltre un anno e mezzo coinvolge l’intero pianeta e i suoi abitanti; l’altra è il mutamento climatico, che con diverse e differenti caratteristiche è cominciato da almeno una trentina di anni. La prima, come tutte le pandemie di questo tipo (peste, vaiolo, influenza spagnola) e come ci ricorda la storia nel giro di un paio d’anni dovrebbe esaurire la sua virulenza. La seconda no: non in tempi brevi e in assenza di azioni di forte impegno per il rallentamento del fenomeno e dei fenomeni collegati.

Mi spiego: di questo coronavirus non si hanno ancora conoscenze precise, né con riguardo ai tempi di scoperta, né con riguardo alle cause che lo hanno generato, né, ancora, con riguardo alle modalità di trasmissione tra gli esseri umani. Scienziati del settore e case farmaceutiche hanno messo in moto con rapidità senza precedenti la possibilità di produrre vaccini in grado di garantire l’immunità. Anche su questo settore non vi sono certezze assolute e non si può escludere che, anche quando si sarà vaccinata l’umanità intera, la vaccinazione debba diventare (almeno per alcune categorie di persone) una pratica annuale come quella per prevenire l’influenza.

Insomma, tempo qualche mese non mi sembra inverosimile un ritorno a quella che secondo alcuni si potrebbe definire la normalità. Secondo alcuni perché vi sono numerosi “altri” per i quali, ancorché non contagiati o, comunque, guariti, la normalità sarà un irraggiungibile obiettivo. Mi riferisco a quanti hanno perso il posto di lavoro nelle attività industriali le quali senza che i propri interessi siano intaccati, possono ben continuare a produrre con minori quantità di lavoratori; mi riferisco a quanti hanno irreversibilmente chiuso le proprie attività.

E su questo punto ci vogliono ben altre competenze rispetto alle mie scarsissime, chiamate ora ad esprimersi. Io posso parafrasare i versi del “magnifico” Lorenzo: “Di doman non c’è certezza”. Ma attenzione: senza aggiungere il salviniano “Chi vuol esser lieto, sia” che servirebbe solo ad aggiungere contagiati e morti al già lungo e triste elenco.
I mutamenti climatici

L’altra pandemia ha ben altri tempi e modalità di evoluzione. Mi riferisco ai mutamenti climatici, vale a dire all’incremento di quelli che vengono definiti eventi estremi e alla catena di conseguenze legate all’aumento delle temperature (scioglimento dei ghiacciai polari e innalzamento del livello degli oceani), che costituiscono la più ricorrente causa di preoccupazioni.

In questa pandemia tempi, modi, cause e responsabilità sono da tempo note ai più. I “meno” sono quanti, classificabili nella schiera dei negazionisti: negano, appunto, che i responsabili siamo stati noi esseri umani nelle vesti di chi amministra e gestisce le sorti della Terra e dei terrestri).
Genesi di un problema

Il problema cominciò a diventare oggetto di preoccupazione anche della pubblica opinione quando sul finire degli anni Settanta siinquinamento ambientale scoprì l’esistenza di strappi nella ozonosfera. Cioè in quello strato dell’atmosfera nella quale la elevata presenza di ozono consente di filtrare i raggi ultravioletti provenienti dal sole impedendone la nocività al suolo (per esseri umani, animai e vegetali). Il problema fu in buona parte risolto dal 1987 con la firma di un protocollo a Montreal con il quale gli Stati si impegnavano ad abolire l’uso dei gas ritenuti responsabili del “buco”: il freon negli impianti di raffreddamento e il propellente delle bombolette spray.

Ma restava abbondante spazio per un altro molto più “importante” problema scaturito dall’evidente avanzata dell’effetto serra provocato dalla crescente immissione in atmosfera di “gas serra” (anidride carbonica e metano, soprattutto), col risultato dell’evidente incremento delle temperature medie su tutta la Terra. Soprattutto elevato nelle due aree polari. Si decise che bisognava intervenire e nella Agenda 21 (cose da fare nel ventunesimo secolo) a conclusione della Conferenza di Rio de Janeiro (1992, la seconda dopo quella di Stoccolma del 1972) si mise al primo posto la necessità di intervenire a difesa del clima.

Ne derivarono il Protocollo di Kyoto e una serie di altri inconcludenti incontri e impegni che in niente hanno modificato le cause e le caratteristiche del problema: i gas serra in atmosfera hanno raggiunto livelli al di là della zona di rischio, le temperature hanno continuato ad aumentare, le calotte polari a sciogliersi, il livello dei mari ed oceani ad innalzarsi.

Di Ugo Leone