Salvini a processo mentre Conte e Speranza la fanno franca

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Si apra il sipario e si dia inizio al terzo atto. Oggi il Senato della Repubblica deve decidere in via definitiva se mandare o meno a processo il leader della Lega per il caso Open Arms, il terzo in due anni contro l’ex Ministro dell’Interno dell’allora governo Conte. La procura di Agrigento, e nello specifico il procuratore Luigi Patronaggio – quello a cui Palamara scriveva «siamo tutti con te» – , aveva aperto un fascicolo per “sequestro plurimo di persona aggravato” e “abuso di atti d’ufficio”. Nell’agosto 2019 l’allora Ministro dell’Interno aveva impedito lo sbarco dei 107 migranti bloccati al largo di Lampedusa sulla nave della Ong Open Arms, battente bandiera spagnola. I fatti furono commessi nell’esercizio delle funzioni di ministro, quindi la competenza era del Tribunale dei Ministri di Palermo, cioè la sezione per i reati ministeriali competente per territorio.
Caso identico ai due precedenti, Diciotti e Gregoretti: nel primo caso Salvini ha evitato il processo perché all’epoca la maggioranza era quella giallo-verde, nel secondo è stato invece mandato alla sbarra perché la maggioranza era mutata in giallo-rossa.
Cosa accadrà adesso con Open Arms? La giunta per le immunità del Senato, riunitasi il 26 maggio dopo due rinvii, ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere. Decisiva l’astensione di tre renziani e dell’ex senatrice pentastellata Riccardi, passata alla Lega. Ma l’ultima parola ce l’ha l’aula di Palazzo Madama, che può concedere l’autorizzazione a maggioranza dei componenti, quindi occorrono almeno 161 voti.
Li ha questi numeri la maggioranza giallo-rossa? Al pelo. Il governo Conte bis si regge infatti su 160 voti, forse 161 per via del senatore Carbone che da Forza Italia è di recente passato a Italia Viva. Per poter mandare Salvini a processo occorre dunque che i senatori della maggioranza si presentino tutti e tutti votino per il processo. A nostro avviso non accadrà.
Italia Viva è stata determinante in giunta, crediamo difficile che Renzi mandi tutti i suoi venti senatori in aula per fare uno sgarbo all’ex Ministro dell’Interno. Non avrebbe senso. Anche perché non è detto che Carbone, ex forzista e quindi garantista, voti per il processo. Certo, potrebbe correre in soccorso la senatrice Bonino, ma allo stesso tempo il senatore Casini ha sempre detto che non voterà per il processo. Insomma, i numeri non ci sono e quota 161 non verrà raggiunta, anche perché i senatori a vita Monti e Napolitano – conteggiati tra i sostenitori del governo – è difficile che si presentino in aula.
Dal punto di vista giuridico il Senato non compie una valutazione nel merito, ma si limita – ai sensi dell’art. 9 della Legge costituzionale n. 1/1989 – a verificare se il ministro, nell’esercizio delle sue funzioni, ha agito o meno nell’interesse nazionale. Dunque Palazzo Madama dovrebbe negare l’autorizzazione quando «l’inquisito abbia agito a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo». In realtà per i primi due casi, Diciotti e Gregoretti, la valutazione fu squisitamente politica, e l’esito fu diverso solo perché nel frattempo era mutata la maggioranza.
Stavolta il discorso però è più complesso: sono mesi che Mattarella invita le forze politiche a unità e collaborazione a causa dell’epidemia; va da sé che consentire un processo del genere al leader dell’opposizione manderebbe definitivamente in soffitta ogni ipotesi di dialogo tra maggioranza e opposizione nella difficile gestione della fase post-Covid. Tanto più ora con un prolungamento dello stato di emergenza non voluto dal Presidente della Repubblica.
Una ultima considerazione. Su Salvini si è scatenata un’offensiva per aver negato tre sbarchi a tutela dell’interesse pubblico, mentre Conte e Speranza – per le responsabilità connesse all’epidemia, dove è configurabile l’ipotesi di reato dei “delitti colposi contro la salute pubblica” (art. 452 c.p.) – non risultano al momento indagati. Neppure Speranza, che con una sua ordinanza, andando contro una legge dello Stato, ha in pratica consentito l’immediata cremazione dei cadaveri, impedendo in tal modo le autopsie. di Paolo Becchi e Giuseppe Palma