Salvini torna alla carica con la flat tax, ma a perderci sarebbero 32,1 milioni di lavoratori

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Dopo aver scatenato la crisi contro il proprio Governo presentando una mozione di sfiducia verso il premier Conte, il vicepremier Matteo Salvini è tornato ad affilare l’arma della flat tax per la campana elettorale, promettendo ieri «tasse ridotte al 15% per milioni di lavoratori italiani». Se nel “contratto di governo” stipulato coi 5 Stelle e divenuto ormai carta straccia erano previste “due aliquote fisse al 15% e al 20% per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie” la proposta originaria della Lega è quella di un’aliquota unica al 15% sui redditi delle persone fisiche (Irpef) e delle società (già oggi con aliquota unica al 24% sia nel caso dell’Ires sia dell’Iri). Secondo Salvini con una flat tax di questo tipo «ci guadagnano tutti», ma in realtà le indagini economiche condotte in materia mostrano come a rimetterci sarebbero le casse dello Stato e l’80% dei lavoratori.

L’impalcatura della flat tax risulta infatti debole sin dalla sua costruzione teorica, che si rifà alla cosiddetta “curva di Laffer”, per la quale oltre una certa soglia aliquote fiscali alti incentiverebbero le persone a lavorare in nero, sfuggendo alla tassazione, mentre una riduzione dell’aliquota (al 15%, in questo caso) le incentiverebbe a dichiarare il reddito effettivamente guadagnato; secondo questa teoria dunque tagliando le tasse l’economia nazionale migliorerebbe e così il gettito complessivo. Peccato però che «gli studi scientifici disponibili sull’Italia e sugli altri paesi sviluppati vanno chiaramente nella direzione opposta – spiegano oggi dall’Osservatorio sui conti pubblici, promosso dall’Università cattolica del Sacro cuore – Riduzioni delle aliquote riducono il gettito fiscale. Questo è il consenso pressoché plebiscitario degli economisti. Con riferimento al dibattito italiano attuale, l’indicazione chiara è che la cosiddetta “flat tax” ha bisogno di normali coperture di bilancio in quanto non è in grado di autofinanziarsi». Non a caso già lo scorso anno l’Osservatorio stimò in circa 50 miliardi di euro il costo della flat tax Irpef, una stima maggiorata dalle simulazioni dello stesso ministero dell’Economia a febbraio (59,3 miliardi di euro) contro i 12-13 miliardi di euro dichiarati da Salvini.

E dove verrebbero trovati gli oltre 50 miliardi di euro necessari a finanziare la flat tax salviniana? «Volendo attuare una riduzione delle tasse, quale ad esempio la proposta della cosiddetta flat tax, e volendo evitare di aggravare il debito pubblico, è necessario studiare una riduzione della spesa pubblica. Questo a oggi è il consenso, pressoché plebiscitario, fra gli economisti», sottolineano ancora una volta dall’Osservatorio. E riduzione della spesa pubblica, come la storia recente insegna, significa soprattutto tagli allo stato sociale e ai già esanimi investimenti pubblici: l’esatto contrario di quel che servirebbe per impostare un percorso di sviluppo sostenibile.

Tutto questo, com’è evidente, non andrebbe a vantaggio dei «milioni di lavoratori italiani» evocati da Salvini ma al contrario porterebbe benefici solo ai più ricchi, in un Paese dove il 30% circa dei residenti è già a rischio di povertà o esclusione sociale. Più nel dettaglio, l’80% dei contribuenti Irpef – tenuto conto delle detrazioni e deduzioni attive – paga già oggi meno del 15% dell’imponibile: si tratta dei 17,6 milioni di lavoratori che dichiarano redditi inferiori ai 15mila euro, e agli altri 14,5 che dichiarano tra i 15 e i 28 mila euro annui. Con la flat tax a guadagnarci sarebbero dunque solo i rimanenti 8 milioni di lavoratori, con vantaggi che crescono insieme al reddito. “Prima gli italiani” dunque, ma quelli ricchi.                              fonte http://www.greenreport.it/