Sclerosi multipla e malattie rare: abbinate in nuovo modello di ricerca

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La proposta nasce da un’iniziativa italiana che coinvolge ricercatori e rappresentanti delle associazioni dei pazienti

La ricerca clinica è un processo lungo, difficile, dispendioso e non sempre proficuo. Alcuni ambiti, in particolare, pongono gli scienziati di fronte a sfide difficili da affrontare. Le malattie multifattoriali, quali la sclerosi multipla, per esempio, hanno origine da un mix di fattori ambientali e genetici che rende difficile comprendere sia lo sviluppo della malattia, sia l’identificazione di possibili meccanismi su cui intervenire con le terapie. Le malattie rare, d’altra parte, rendono difficile allestire le sperimentazioni cliniche perché pochi sono i pazienti. Perché allora non immaginare un nuovo modello di ricerca che aiuti tanto lo sviluppo di nuovi trattamenti per malattie complesse come la sclerosi multipla che le malattie rare? Che contributo potrebbe dare, in questo senso, le comunità di clinici e le realtà di advocacy italiane?

A fare il punto sul tema, immaginando un modello che aiuti ad accelerare la ricerca nelle malattie neurologiche e rare, è il lavoro pubblicato su Neurological Sciences, che nasce da iniziativa congiunta tra Accademia e associazioni di pazienti e che vede come autori, fra gli altri, Mario Alberto Battaglia e Paola Zaratin, dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla, e Marco Salvetti, della Sapienza Università di Roma.

Quello di immaginare un nuovo modello di ricerca, di cui potessero beneficiare settori apparentemente lontani tra loro, quali appunto le malattie neurologiche e le malattie rare, è un progetto nato di recente all’interno del tavolo di lavoro promosso dalla Società Italiana di Neurologia. Anche se apparentemente lontane, infatti, spiegano gli esperti, queste malattie condividono alcuni meccanismi patologici alla base. Ed è proprio questo il razionale alla base del modello proposto dai ricercatori italiani.

“Nelle malattie multifattoriali come la sclerosi multipla a volte è difficile capire se un trattamento sperimentale funziona, perché i meccanismi alla base della malattia e i fattori da considerare sono molti”, ha spiegato Salvetti. “D’altra parte, nelle malattie rare, in alcuni casi, esistono pochi e chiari meccanismi alla base della patologia, alcuni condivisi anche nella sclerosi multipla”. L’idea, continua Salvetti, potrebbe così essere quella di condurre delle sperimentazioni cliniche per testare in parallelo un trattamento sia in malattie complesse come la sclerosi multipla (SM) che in patologie rare. “Sulla base dei risultati, potremmo così capire se un trattamento è o meno efficace: per esempio se funziona nelle malattie rare ma non nella SM avremmo un’indicazione in merito al fatto che per patologie complesse quel trattamento forse non basta da solo, più che scartarlo del tutto”, spiega Salvetti.

La logica di un simile approccio è tanto quella di accelerare la ricerca in ambiti tra loro diversi, quanto al tempo stesso, in questo modo, di renderla più sostenibile. Un progetto simile, necessariamente chiama in causa non solo clinici e ricercatori, ma anche l’attività di advocacy, con le associazioni di pazienti chiamate a raccogliere l’invito che investire in una ricerca multisettoriale significa produrre ritorni in tutte le aree studiate. Serve un cambio culturale per farlo, che parta, scrivono Salvetti e colleghi nel paper, dall’assunto che indirizzare i propri sforzi in iniziative collaborative di ampio respiro permetta di moltiplicare i risultati raggiunti.

Ciò è in linea con la missione di Responsible Research and Innovation (RRI) del programma Horizon 2020 dell’Unione Europea, che incoraggia le diverse parti interessate a lavorare insieme durante l’intero processo di ricerca e innovazione, per mantenerlo allineato con i valori, i bisogni e le aspettative della società e dei pazienti. Il programma RRI sfida la nostra nozione di buona scienza sostenendo che l’eccellenza, la validità e la pertinenza sono collegate coinvolgendo i pazienti e la società nel continuum della ricerca come parti interessate chiave con un ruolo decisionale. In questo contesto, AISM coordina il progetto MULTIACT, che mira a costruire un framework per consentire iniziative multi-stakeholder. I principi fondanti del quadro saranno l’aumento della responsabilità basata sui risultati e il rafforzamento della valutazione dell’impatto sociale dell’iniziativa, con particolare attenzione a come la ricerca influisce sulla vita dei pazienti.

Questo progetto rappresenta un’opportunità tempestiva e un riferimento importante per esplorare idee e stabilire condizioni per uno sviluppo collaborativo di nuove terapie per la SM e per le malattie rare. Realtà come il Registro Italiano Sclerosi Multipla, il Network italiano di neuroimmagini (INNI), e la biobanca CRESM – che raccolgono, rispettivamente, dati epidemiologici, clinici e sociali, dati di risonanze magnetiche e campioni biologici di persone con SM e sane – sono un buon punto di partenza per la costruzione di simili collaborazioni.

Ma anche il mondo dell’advocacy può dare un contributo importante, con il ruolo sempre più attivo e non di meri sostenitori della ricerca che hanno assunto le associazioni di pazienti negli ultimi anni, con esempi eccellenti di collaborazione come la Federazione Internazionale della Sclerosi Multipla (MSIF) o Mitocon, l’associazione di advocacy per le persone con malattie mitocondriali. E proprio dalle alterazioni a carico dei mitocondri potrebbe così partire un primo esempio di questa ricerca collaborativa vista l’importanza del metabolismo dei mitocondri – gli organelli essenziali per la produzione di energia – per tutte le componenti cellulari del sistema nervoso centrale, suggeriscono gli autori.

“Quello che speriamo di fare e di riuscire a strutturare modelli di collaborazione stabile, riunendo in un centro, anche virtuale, le diverse figure professionali”, conclude Salvetti. Figure come possono essere per esempio neurologi, immunologi, bioinformatici, biostatistici, ma anche società scientifiche, rappresentanti delle istituzioni, associazioni di pazienti e agenzie regolatorie. Così che sia possibile assicurare tanto il disegno delle sperimentazioni cliniche e la selezione dei pazienti che l’eventuale sviluppo industriale dei trattamenti.