Scotto: il caso Open è un nodo politico, corriamo il rischio impopolarità

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L’inchiesta della magistratura sulla Fondazione Open farà il suo corso e non mi unisco al coro di chi già emette sentenze o urla a colpi di stato giudiziari. Credo inoltre che non serva a nulla l’istituzione di una commissione di inchiesta sui finanziamenti ai partiti e alle fondazioni: un inutile tentativo di sostituirsi agli inquirenti quando il Parlamento dovrebbe invece finalmente essere conseguente con il dettato costituzionale sulla democrazia dei partiti e dare seguito legislativo all’articolo 49 della nostra carta fondamentale.

Né mi appassiona la rissa che è immediatamente scattata tra renziani e grillini sul se allargare o meno il raggio della commissione di inchiesta alle Srl come la Casaleggio Associati. Un’ansia da prestazione diffusa destinata a sollevare una cortina fumogena che impedisce di vedere il problema principale: ovvero come si finanzia la politica oggi.

L’indagine su Open fotografa un quadro già ampiamente noto di svuotamento della funzione dei partiti, sostituito da fondazioni di corrente, create attorno a una leadership politica senza alcuna missione culturale e di elaborazione politica. Un meccanismo che ha reso scalabile innanzitutto il Pd dall’esterno attraverso una capacità intensiva di raccogliere fondi al fine di influenzare gli orientamenti di iscritti e cittadini.

Non discuto la legittimità o meno del disegno politico, discuto la qualità del modello che ha prodotto il depauperamento progressivo delle forze politiche tradizionali e la loro destrutturazione in gruppi di interesse sempre più simili a macchine di potere economico.

Il renzismo non è solo la storia di una leadership di successo, ma il tentativo di un pezzo del nuovo capitalismo italiano di impadronirsi della cabina di comando del fronte progressista, trasformandolo in un inedito blocco sociale a sostegno di riforme liberali e antisindacali.

Per questa operazione “di classe” servivano mezzi e risorse, non soltanto la parlantina efficace e avvolgente dell’ex sindaco di Firenze o la bravura organizzativa del suo “giglio magico”. E serviva inevitabilmente anche un campo grande “da arare” come il Pd, che evidentemente aveva perso molti anticorpi durante la lunga transizione da un’identità post-comunista alla terza via neoliberista.

Dunque, a mio avviso, il nodo non è solo giudiziario, ma politico. Un partito potenzialmente scalabile dall’esterno può essere una garanzia per la tenuta democratica di un Paese? O inevitabilmente rischia di perdere autonomia e forza rispetto alla pervasività di corporazioni economiche e finanziarie mai così potenti e capaci di assumere direttamente il controllo della politica e delle istituzioni?

Siamo il Paese che per venti anni ha tollerato che un miliardario desse le carte e plasmasse la coscienza pubblica. Siamo il Paese dove il partito oggi elettoralmente sulla cresta dell’onda potrebbe essere stato finanziato in un passato recentissimo da una potenza straniera fortemente interessata a far saltare l’Unione Europea. Siamo il Paese che ha visto prima un impero televisivo di un Tycoon trasformarsi in partito e poi il blog di un comico trasformarsi in movimento con l’obiettivo di rompere tutti gli equilibri politici tradizionali.

È la nostra storia, non la cronaca di un’inchiesta giornalistica o la speculazione filosofica di qualche intellettuale. Se vogliamo restituire all’Italia una democrazia autonoma e sovrana il tema di come si finanziano i partiti in maniera trasparente è urgente, forse persino più urgente della legge elettorale.

Aver smantellato il finanziamento pubblico – non a caso i protagonisti assoluti di questa campagna forsennata sui costi della politica nel corso degli anni sono stati Matteo Renzi e Beppe Grillo – non ha fatto altro che indebolire la nostra articolazione democratica fondata sui partiti, rendendoli sempre più subalterni e ininfluenti, incapaci di offrire un disegno di società coerente e classi dirigenti preparate, competenti e disinteressati.

Dunque è necessario ritornare laddove si è consumato questo delitto democratico a discuterne senza tabù e senza la paura di essere impopolari. Ripartiamo da qui e lasciamo le commissioni di inchiesta a chi vuole buttare tutto in caciara.