Scotto: non chiamiamole ragazzate, il fascismo è nato così

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«Ora posso parlare. Sono ancora in pronto soccorso, attendo l’esito degli ultimi esami. Loro sono scappati, codardi a volto coperto. Io sono in piedi, carico. Posso dare un senso a questo spiacevole Capodanno? Posso provare a dire una cosa a tanti italiani che in queste ore si scambiano auguri sinceri, sperando in un mondo migliore?».

Arturo Scotto, col naso medicato, può.

«Non lasciate correre, mai . Non abbiate paura di denunciare. Nei bus, in metro, in strada. Ribelliamoci. Non facciamo in modo che questa deriva culturale politica sociale si guadagni lo sdoganamento, riesca ad acquisire la nostra rassegnazione. Tolleranza zero contro chi chiede il “forno” per Anna Frank in una pubblica piazza. Tolleranza zero per chi celebra il Duce e se provi a dire “smettetela”, pensano di poterti pestare».

Qual è stata la prognosi?

«Venti giorni, si sospetta una frattura del setto. In generale sto bene, a parte l’iniziale shock e rabbia per la paura che ha colto mia moglie Elsa e mio figlio Enrico».

«Non sono ragazzate», ha scritto.

«Perché se in pochi secondi decidono di prendere a pugni e gettare a tema una persona, impunemente sotto gli occhi di decine di testimoni, e poi hanno prontezza di coprirsi il volto e dileguarsi, questa si chiama aggressione squadrista».

Capodanno con cazzotti in un raro caso in cui non arringava dal palco?

«E non avevo neanche avvertito i compagni che ero nei paraggi per una breve vacanza. Ma mi fa piacere aver ricevuto una solidarietà bipartisan, da Fdi alla Lega a Forza Italia, oltre ad amici della sinistra e del Pd ovviamente. Il mio cellulare è scarico: sono in collegamento da ore con polizia, carabinieri, vigili urbani, attivissimi e puntuali, nel cuore della mezzanotte e con il carico di lavoro, di una Venezia piena di turisti. Sono certo che li individueranno».

Riavvolgiamo il nastro. Piazza San Marco, notte di San Silvestro. Che ora era e quanti erano?

«Tra mezzanotte e le 0.10. Noi tre eravamo sull’angolo più aperto della piazza, verso la Riva. Gruppi, giovani, famiglie. A un certo punto sento dietro di me dei cori. “Duce tu scendi dalle stelle”, e anche “Anna Frank l’abbiamo messa nel forno”. Mi volto verso di loro, erano otto, forse: gli dico di piantarla. In un secondo partono i pugni, in pieno volto. Neanche il tempo di capire. Mi ritrovo col sangue in faccia».

Lei aveva la famiglia impaurita. Intorno, la folla. Solo uno interviene: conosce il suo nome?

«Un ragazzo di vent’ anni. Filippo Storer, voglio dirgli grazie di cuore. ha denunciato anche lui. Si è rovinato il Capodanno solo perché non ha scelto di voltarsi dall’altra parte».

Gli aggressori sono scappati.

«Subito. Coprendosi la faccia, dei veri vigliacchi».

Ma di alcuni ha memorizzato dettagli. Saprebbe riconoscerli?

«Vedremo. Di uno ricordo un tatuaggio, dell’altro che aveva il pizzetto».

A parte lo shock, sua moglie e suo figlio come stanno, come hanno commentato?

«Mio figlio a scuola ha studiato il Novecento. Abbiamo parlato. E rimasto impressionato dal fatto che delle cose che apparivano sepolte nei libri pendano colpo, tornino con una loro eco. Poi mi hanno fatto pensare, oggi, tra mille graditi messaggi di vicinanza, le parole di una persona a me cara, Fabio Mussi (ex ministro dell’Università e Ricerca nel governo Prodi, ndr)».

Cosa le ha detto?

«L’antisemitismo e fascismo sono il cuore nero della Repubblica. Non dobbiamo mai sottovalutarlo».