Se certa magistratura fa danni è perchè nessuno viene valutato nel merito

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Un mercato, che è reso possibile dall’assenza di criteri sulla qualità del lavoro prodotto dalla magistratura. Le loro carriere vengono determinate dalle correnti e non dal merito. Ed è così che esplode lo scandalo che lascia tutti a bocca aperta, con le toghe che si denunciano tra loro e trame di potere vergognose.
Fanno danni gli atteggiamenti, più che le polemiche del giorno dopo. E quel che intristisce è l’assenza di proposte concrete, di un riformismo basato sulla capacità di lavorare. Sappiamo solo che l’ex ministro Lotti tramava, almeno così dice chi indaga. Bella scoperta, potremmo dire. Aspettiamo una rivoluzione che non arriva mai.
Il grande mercato delle nomine

Quando si rivendica l’autonomia e l’indipendenza della magistratura a parole tutti dicono ci mancherebbe. Con quello che leggiamo possiamo chiedere da chi? C’è reale autonomia? C’è indipendenza – da tutti – se poi si scatena il grande mercato delle nomine con una oscena spartizione tra correnti togate e persino politici sotto accusa?
Attendiamo di conoscere la via d’uscita da un verminaio in cui si affacciano anche i soliti spicciafaccende. Intercettazioni che compaiono e scompaiono, quelle sì e quelle no. Ma è questa la giustizia? Ci rendiamo conto che di qui a qualche tempo sarà il ladro a dire al magistrato: “E’ certo che sia lei a dover fare domande a me e non io a lei?”.
Certo, è il filo del paradosso su cui barcolla pericolosamente un settore delicatissimo per la società. Ma stavolta, non bisogna prendersela solo con la politica. E semmai sotto accusa va quella politica debole che non è stata capace di riformare autenticamente la giustizia italiana, perché occorreva sempre aspettare l’ultimo sussurro della associazione nazionale magistrati.
Invece la riforma dell’ordinamento è più che mai fondamentale proprio ora che il caos sembra dettare legge nelle procure del nostro paese. La separazione delle carriere e la modifica sostanziale dell’obbligatorietà dell’azione penale come primi passi per un’autentica rivoluzione con obiettivi precisi. In primis cancellare quell’odiosa sensazione di una giustizia ad orologeria che emerge in ogni inchiesta che lambisca i palazzi del potere. E poi, l’affermazione del merito e della qualità del lavoro prodotto dai magistrati come principio guida dei criteri che devono riguardare le loro progressioni di carriere.
Occhio al teorema Davigo…

I primi a pretendere tutto ciò dovrebbero essere proprio i togati, che solo ora si accorgono dei danni fatti perché sono essi stessi ad esserne colpiti. Certo è che nessuno può pensare di restare fermo.
Il Consiglio superiore della magistratura appare travolto, e al contempo immobile, dalla bufera che ha investito chi è indagato. Ma certo non può fischiare per aria chi c’era e si è – per ora – salvato. Per dirla con Davigo, anche per loro può valere l’odioso “principio” per cui un innocente è solo un colpevole che l’ha fatta franca.
Uscire da questa guerra serve all’Italia intera per non dover mai dubitare del giudice che ha di fronte. Se tutto resta macchiato dalle inchiesta e non ripulito dalla grande riforma della giustizia, nessuno si fiderà mai più di una sentenza. E sarebbe esiziale per tutto il nostro Paese.                                                                      di francesco storace  fonte  www. secolo d’italia.it