Sindaco di Roma, la partita per ora si gioca al chiuso

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La discussione sulla autocandidatura dell’ex ministro Carlo Calenda a sindaco di Roma ha un che di surreale e vago e poco incardinato sui molti punti dolenti della metropoli capitale. Una discussione tutta interna alla politica (“Calenda si è fatto il partitino, Azione, e in Puglia ha appoggiato, insieme a Renzi, un candidato anti-Emiliano e adesso pretende di dragare l’elettorato Pd etc etc”) ma paradossalmente poco intrisa di Politica, che non è solo caccia grossa al consenso per perpetuarsi ma pure arte nobile di immaginarsi una rotta, di tenere un timone su mari mossi senza dimenticare mai il duro servizio nella gestione della macchina istituzionale.
Alla ricerca del candidato perfetto

romaIn attesa di capire, a nove mesi dalle comunali romane, se in gestazione ci sono progetti e idee forti e non solo vagheggiamenti immobiliaristici, se è possibile, valutando la sindacatura Raggi, separare il grano dal loglio, il Pd annuncia con Zingaretti che scatta la ricerca del Candidato Perfetto. Ciò che è, poi, un messaggio rabbrividente: mo’ ci mettiamo sotto con lanterne e contatori geiger e vedrete che uno buono lo troviamo, magari non sarà un Petroselli ma fidatevi.

Una confessione involontaria di accidia, di passata e protratta negligenza operativo-funzionale, di disabitudine alla formazione di un personale politico radicato nei territori (stavo per dire “di quadri all’altezza”, ma è troppo démodé) e non solo nei CdA. Quasi che il Pd, ritrovatosi in mano un buon capitale di consensi, anche per gli errori del frontman della destra e nonostante le plurime scissioni degli ultimi anni, fosse rimasto sorpreso, imbarazzato, infastidito dal suo potere/dovere. Sarebbe così drammatico, pur in questi tempi dilavati dal personalismo aizzato via social e tv, allestire un’assise ampia e ragionante per mettere a fuoco cosa si vuole per Roma (comprese le tormentate, dimenticate periferie) e solo in un secondo momento individuare la personalità adatta? Magari chiarendosi preliminarmente un po’ le idee, perché è abbastanza complicato governare l’Italia coi 5 Stelle e nello stesso tempo vedere come un oltraggio qualsiasi ipotesi di tavolo coi grillini per la Capitale.
Un fronte ampio di liste politiche e civiche

romaChissà, il Pd potrebbe capire che in un fronte ampio di liste civiche e politiche, il laboratorio di un Calenda meno ostile ai 5 Stelle avrebbe il suo perché, mentre meno gestibile sarebbe Renzi, epigono 2.0 dell’appetito spartitorio da Prima Repubblica: valgano a monito le ultime comunali e regionali, con Italia Viva in missione per poltrone con un tasso di successi molto maggiore dei navigator.

Un esempio? A Mantova, dove il centrosinistra ha vinto largo, Sinistra Italiana-Verdi (4,4% dei consensi) si occuperà di politiche giovanili e biblioteche, a Italia Viva (3,5%) è andata la presidenza dell’Aspef, l’azienda del Comune di Mantova che gestisce i servizi socio-sanitari per la persona e per la famiglia.

Domanda: da quale scrivania si gestiscono i soldi veri? Sono lontani i tempi degli scissionisti alla panna di Alleanza per l’Italia guidati da un Rutelli sconcertato per l’eccessivo gauchismo del Pd. Surreale un bel po’. Rutelli, esauriti alcuni svolazzi ecologisti, oggi è ben accasato all’Anica, l’associazione delle industrie cinematografiche audiovisive e multimediali. Renzi è un caimanuccio con ancora un gran appetito.
Il litigioso Pd e Zingaretti

Il litigioso Pd, capace di passare nel tritacarne Letta e Bersani, ha trovato un punto di equilibrio in Zingaretti. Un tipo sperimentato, al punto da sapere che, congelata qualsiasi ipotesi di elezioni politiche, la partita romana è il prossimo, non rinviabile, terribile showdown per dare subito consistenza a troppe mozioni d’intenti, a tante promesse che oggi, in mezzo a un doloroso travaglio sociale ed economico, devono trovare gambe per camminare.                                                                                                           Di Andrea Aloi