Siria, tra i due litiganti la Russia gode

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A man carries a young girl who was injured in a reported barrel-bomb attack by government forces on June 3, 2014 in Kallaseh district in the northern city of Aleppo. Some 2,000 civilians, including more than 500 children, have been killed in regime air strikes on rebel-held areas of Aleppo since January, many of them in barrel bomb attacks. AFP PHOTO / BARAA AL-HALABI (Photo credit should read BARAA AL-HALABI/AFP/Getty Images)

Turchia e Usa firmano un cessate il fuoco che serve solo a salvare la faccia a Erdogan e Trump. A fermare i combattimenti capovolgendo la situazione sul terreno e restituendo alla Siria il controllo dei territori curdi abbandonati dagli Usa ci aveva già pensato Vladimir Putin.

Per la Casa Bianca è un “cessate il fuoco” di 120 ore. Per il presidente turco Recep Tayyp Erdogan è solo una sospensione delle operazioni militari. Operazioni pronte a riprendere se le milizie curde non avranno consegnato le armi pesanti e non saranno arretrate a sud della fascia di sicurezza profonda 32 chilometri che la Turchia vuole instaurare lungo il confine con la Siria nord orientale.

Per capire quale interpretazione più s’avvicini alla realtà basta un dato di fatto. I turchi possono sostenere la loro versione con una macchina militare pronta a rimettersi in moto. Gli americani, ritirati i mille uomini delle forze speciali mandati in Siria per combattere l’Isis e chiamati in teoria a difendere i curdi, non hanno più alcun strumento, al di là delle sanzioni economiche, per imporre la propria volontà.

“Questa è essenzialmente l’approvazione degli Stati Uniti a quanto fatto dalla Turchia annettendosi una parte della Siria e mettendo in fuga la popolazione curda. Questo è quello che la Turchia voleva… Potus (il presidente Usa Ndr) gli ha dato il via libera” – ammette un funzionario americano interpellato dal sito “Al Monitor”.

Il funzionario non ha però del tutto ragione. Se la tregua concordata da Erdogan e dal numero due della casa Bianca Mike Pence è una foglia di fico raccolta per nascondere il vergognoso abbandono delle milizie curde è anche vero che la Turchia non ha grandi possibilità di rilanciare la sua offensiva. L’obbiettivo di allargare la zona di sicurezza fino ad una profondità di 32 chilometri è destinato restare largamente irrealizzato. Mentre quello di estenderla a tutti i 480 chilometri di frontiera tra l’Eufrate e il confine iracheno è già oggi una missione impossibile. L’intesa tra curdi e Damasco, raggiunta domenica scorsa grazie alla mediazione di Mosca, ha infatti definito la questione del controllo dei confini ben prima dell’arrivo di Pence ad Ankara. Quell’intesa ha imposto non solo il ritiro dalla frontiera siriano turca di gran parte delle milizie curde, ma anche la riconsegna di tutti i territori nord orientali all’autorità di Damasco.
© Sputnik . Hikmet Durgun
Tell Abiad, Siria

Dietro il compromesso, raggiunto sfruttando da una parte il ritiro voluto dalla Casa Bianca e dall’altra la furia dell’offensiva turca, c’è – ovviamente – l’ombra di Vladimir Putin. Un’ombra che Erdogan si guarda bene dallo sfidare e con cui preferisce di gran lunga discutere e dialogare. Non a caso l’avanzata turca si è arrestata non appena i curdi hanno incominciato a cedere le loro posizioni all’esercito di Damasco e alle unità della polizia militare di Mosca mandate sul terreno per imporre l’accordo. Da quel momento le uniche zone in cui si è continuato a combattere sono le cittadine di confine Ras al-Ain e Tal Abyad dove le forze curde e quelle turche sono a diretto contatto. Altrove Erdogan ha accettato la garanzia offerta dal ritorno sulla frontiera dei soldati di Bashar Al Assad.

Dunque le quattro ore e mezza di colloqui tra Pence ed Erdogan e il relativo accordo portano ben poche novità rispetto a quanto era stato già definito dalla trattativa russa. E sostanzialmente non garantiscono alcun beneficio ai curdi che alla fine delle 120 ore dovranno ritirarsi comunque da Ras-al-Ain e Tal Abyad.

Dal punto di vista dei curdi è molto più vantaggioso l’accordo con Damasco che garantisce, nonostante l’obbligo di reintegro delle milizie nell’esercito siriano, una sostanziale autonomia alle loro città e ai loro territori. Insomma a definire il futuro della minoranza curda e di una Siria ricomposta nella sua integrità territoriale e restituita all’autorità del presidente Bashar Assad ci ha pensato Vladimir Putin. E ad Erdogan e Trump non è rimasto che salvare la faccia.