Sono nato a Carrara il 24 gennaio 1947

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I miei genitori, poverissimi, emigrarono in Galles in cerca di fortuna. Solo quando riuscirono a mettere da parte il denaro necessario siamo riusciti a raggiungerli.
Nel frattempo, io avevo coltivato la mia vera e unica passione: il calcio.
Ben presto entrai a fare parte dello Swansea, ma lì ricevevo diverse multe per colpa del mio temperamento assai focoso.
Così il presidente dello Swansea ha deciso di svincolarmi. Ricordo che mi ha congedato con queste fredde parole: “Non ce la farai mai nel calcio professionistico”. Si sbagliava.

Il 1969 è l’anno che ricorderò per sempre, perchè sono entrato a far parte della Lazio, la squadra e l’amore della mia vita.
La Lazio dello scudetto del ’74? Eravamo un bel gruppo. Dobbiamo tutto a Tommaso Maestrelli che per me è stato come un padre. Gestirmi non era semplice.
Non c’era invidia in quella squadra. Gli invidiosi li mandavamo via. Ad esempio Papadopulo!
Mi stava sempre addosso, mi invidiava. Una volta sono arrivato in ritardo in allenamento perché dovevo vedermi con una ragazza molto carina. Lei abitava davanti casa sua. E lui mi ha spiato. Quando sono arrivato al campo voleva dirlo a Maestrelli, ma io l’avevo preceduto. Con Tommaso ero in simbiosi.
In America con i Cosmos ho giocato insieme a Pelè e Beckenbauer, con la differenza che loro erano solo calciatori io invece facevo anche il dirigente. Nonostante mi dividessi fra campo e scrivania sono riuscito comunque a togliermi delle belle soddisfazioni.
Con Pelè avevo un ottimo rapporto ma in campo avevamo un problema. Lui veniva sempre al centro dell’attacco e ci pestavamo i piedi. Allora gli ho detto:”Vai a giocare sull’esterno così hai più spazio”. Lui non l’ha presa bene, allora da dirigente gli ho detto: “O fai così oppure te ne vai”.

Non mi piace la gente bugiarda e per questo dico sempre quello che penso. La mia vita è molto semplice, porto con me i ricordi di sempre.
Poi se invece parliamo della mia carriera il vero Chinaglia lo ritrovo nella mia esperienza da calciatore della Lazio, ma non in quella da presidente. Perchè? Scelte sbagliate. Ero troppo innamorato della Lazio, non vedevo i difetti e mi sono fidato troppo di chi mi circondava.
Amerò per sempre la Lazio, perchè di Lazio ci si ammala inguaribilmente”.

L’1 Aprile del 2012 Giorgio Chinaglia è stato colpito da un infarto in Florida. E’ stato sepolto a Roma accanto a Maestrelli, proprio come voleva lui. Una vita passata tra Italia, Inghilterra e America, ma la cosa da sottolineare è che al suo funerale erano unite tre generazioni, questo significa che Chinaglia, nel bene e nel male ha lasciato un segno indelebile nel cuore di tutti noi, laziali e non: “Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia”, cantava anni fa la curva nord.
Addio campione d’altri tempi. Good bye “Long John”.  fonte calcio totale