Sostenibilità ambientale e funzionamento dell’economia globale

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Il continuo manifestarsi di eventi climatici estremi ha riproposto all’attenzione della pubblica opinione il problema della sostenibilità ambientale degli attuali ritmi della crescita economica globale. Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha “dato fiato alle trombe” dei cosiddetti decrescisti, seguaci delle tesi avanzate dall’economista francese Serge Latouche. Non sempre, però, il proposito di porre un limite all’obiettivo della crescita è sorretto dalla consapevolezza delle rigide condizioni imposte per uscire dalla logica di funzionamento propria dei moderni sistemi economici. Inoltre, il parere degli esperti riguardo alle modalità con cui evitare che il fenomeno della “crescita continua” contribuisca a peggiorare le condizioni ambientali non ha raggiunto sinora un adeguato livello di univocità.

Per alcuni, la crescita è sostenibile se comporta un aumento del benessere economico senza che questo pesi negativamente sulla salvaguardia dell’ambiente e sulla qualità della vita. A tal fine, essi sostengono che sarebbe sufficiente mettere in discussione solo alcuni aspetti del modello economico tradizionale adottato a livello globale; a parer loro, gli attuali ritmi di crescita diventerebbero sostenibili, quando il livello di attività del sistema economico globale fosse accompagnato da un processo di cambiamento col quale lo sfruttamento delle risorse, l’orientamento degli investimenti, i cambiamenti tecnici e istituzionali avvenissero in modo tale da non compromettere il potenziale economico globale attuale e futuro, destinato al far fronte all’aspirazione crescente degli uomini a soddisfare i propri bisogni.

Per altri studiosi, invece, il problema non sta tanto nella “sostenibilità”, quanto nella “crescita”, considerata un fenomeno “tossico”, in quanto mancherebbe d’essere intrinsecamente dotato di automatismi sufficienti ad indicare che essa non produce sull’ambiente un impatto d’intensità tale da renderlo incapace di rigenerarsi. A loro parere, infatti, per evitare il degrado ambientale, non è sufficiente un controllo di alcuni aspetti del modello di produzione tradizionale (anche se fondato sul perseguimento di una crescita zero); controllo che, se giustificabile dal punto di vista astratto, non lo è dal punto di vista dell’economia concreta. Pertanto, la crescita continua non è obiettivamente sostenibile, perché è di natura entropica; essendo un sistema finito, la Terra non può essere trattata come qualcosa da sfruttare all’infinito, condannandola irreversibilmente a scomparire dal novero delle fonti di risorse utilizzabili e a cessare d’essere la base insostituibile della continuità della vita.
Ancora, secondo i critici della sostenibilità della crescita continua, se si prende come indice del “peso” esercitato sull’ambiente l’attuale livello dell’attività produttiva, è impossibile non rilevare come la sua “impronta ecologica” manifesti risultati insostenibili, sia dal punto di vista dello sfruttamento della natura e dell’equità distributiva, che da quello della capacità di rigenerazione delle condizioni di equilibrio del sistema-Terra. Per evitare tali risultati insostenibili e assicurare all’umanità un futuro accettabile, non è quindi sufficiente moderare le correnti forme di controllo della produzione, ma occorre ridurre gli attuali livelli produttivi attraverso la decrescita, alla quale pervenire con un’austerità idonea a diminuire i livelli dei consumi.

Ciò che caratterizza la ripresa del dibattito sul problema del degrado ambientale è il fatto che, a differenza di quanto rilevato nel 1972 dal Rapporto su “I limiti dello sviluppo” (commissionato dal “MIT di Boston” al “Club di Roma” e seguito da un primo aggiornamento dal titolo “Oltre i limiti dello sviluppo” e da un secondo aggiornamento col titolo “I nuovi limiti dello sviluppo: la salute del pianeta nel terzo millennio”) è la quasi totale assenza della considerazione del problema demografico; un problema che Jared Diamond, in “Crisi. Come rinascono le nazioni”, considera la causa prima del disastro ambientale. La crescita della popolazione mondiale e il suo impatto medio pro-capite sull’ambiente (esprimente la quantità media di risorse consumate e di rifiuti “scaricati” da ciascun abitante del pianeta nell’arco di un anno) sono infatti parametri che denunciano in modo incontrovertibile un continuo aumento dell’impatto totale negativo sull’ambiente.
Ciò significa che all’interno degli attuali sistemi economici, il problema più importante dal punto di vista ambientale è la dinamica demografica. L’aumento continuo della popolazione e quello del livello del benessere sono destinati a produrre in un ecosistema finito, qual è la Terra, “stress ambientali” crescenti, dovuti a malattie, estinzione di specie animali, modificazioni climatiche, eutrofizzazione di laghi e corsi d’acqua, erosione del suolo, disboscamento, ecc. Perciò, in un mondo di risorse scarse e finite, il mancato controllo della dinamica demografica e dell’aumento del benessere hanno acquisito un’influenza diretta sulle prospettive di sopravvivenza del pianeta.
Allo stato attuale occorre pertanto che il governo dei problemi connessi alla sostenibilità della crescita economica, della popolazione e del benessere sia effettuato sulla base di decisioni condivise a livello globale, e non di iniziative scoordinate dei singoli Stati nazionali. Tali decisioni possono essere assunte secondo modalità alternative, non tutte dotate di realismo; tra queste modalità, ad avere occupato il centro del dibattito negli ultimi decenni sono quelle riconducibili, da un lato, al movimento decrescista che si rifà, come si è detto, alle idee di Serge Latouche, e dall’altro, alle proposte dell’economista ecologista Herman Daly.

A differenza dei decrescisti, che si limitano a denunciare l’insostenibilità ambientale degli attuali ritmi globali di crescita economico-demografica, proponendone l’annullamento, da realizzarsi attraverso la fuoriuscita dal modello di produzione tradizionale, Daly, osserva che, pur restando all’interno del modello di produzione tradizionale, la crescita zero (cioè il blocco della crescita continua) possa essere perseguita in regime di stato stazionario (ovvero di pura e semplice reintegrazione delle condizioni originarie del sistema produttivo), attraverso due ipotesi alternative di sostenibilità (una “debole” e l’altra “forte”), differenziate sulla base dell’importanza assegnata alla dinamica demografica.
Secondo la teoria economica tradizionale, quella demografica è una variabile esogena al sistema economico; ma, dal punto di vista della sostenibilità dell’aumento del livello di benessere in regime di stato stazionario, occorre che la dinamica della popolazione sia assunta come variabile oggetto di decisioni di politica economica. Ciò implica, in altri termini, che il controllo demografico debba essere effettuato (sulla base di un accordo globale) con procedure che consentano la traduzione del tasso di variazione della popolazione in variabile strategica assoggettabile al controllo sociale.

Secondo l’ipotesi della “sostenibilità debole”, dato lo stock di risorse utilizzabili, il livello crescente di benessere pro-capite sostenibile sarà tanto più grande, quanto minore sarà il tasso di incremento della popolazione (mentre sarà più basso, nel caso di elevati incrementi del tasso di crescita della popolazione). In questo contesto, la sostenibilità del funzionamento del sistema produttivo globale e l’aumento del livello di benessere sono legati a un contenimento dell’aumento della popolazione; condizione, questa, che rende compatibile il funzionamento del sistema economico globale con l’assunzione dell’ipotesi di crescita zero. In un sistema economico in stato stazionario, la configurazione “forte” della sostenibilità dello sviluppo del livello di benessere è invece fondata sull’assunzione della costanza, sia dello stock delle risorse disponibili, sia della popolazione. Per entrambe le ipotesi, in un sistema economico globale funzionante in regime di stato stazionario, con l’assunzione di un livello benessere crescente, lo stock delle risorse disponibili e la dinamica demografica esprimono le variabili strategiche in funzione delle quali governare la sostenibilità del livello di attività del sistema economico globale.
Secondo la prospettiva di Daly, in un sistema economico funzionante in regime di stato stazionario, il livello di attività produttiva ed il livello di benessere possono migliorare qualitativamente anche in assenza di crescita materiale. In questo caso, la conservazione della costanza dell’“universo fisico” di risorse naturali e di persone richiede che le “nuove nascite” e la “nuova produzione” compensino, rispettivamente, le morti e l’obsolescenza fisica di quella parte dello stock di risorse disponibili soggette a deperimento.
Si può pertanto definire un sistema economico globale in stato stazionario nella prospettiva proposta da Daly come un sistema il cui livello di attività è sorretto da uno stock di capitale complessivamente disponibile e da una popolazione mantenuti (stock e popolazione) ai livelli desiderati. Per massimizzare il livello del benessere, secondo le ipotesi di sostenibilità proposte da Daly, è necessaria l’adozione di decisioni collettive orientate a garantire il controllo sociale del funzionamento del sistema, in presenza del minimo sacrificio della libertà di scelta individuale; ciò, al fine di assicurare la compatibilità della libertà di azione di tutti i componenti il sistema economico in stato stazionario con le grandezze assoggettate al controllo sociale. In ultima analisi, nella prospettiva di un sistema economico in stato stazionario, va tenuto costantemente sotto controllo la variabile demografica; non sono, invece, oggetto di controllo sociale la composizione organica della produzione, i modelli di comportamento dei componenti il sistema sociale ed l’insieme dei valori condivisi.

In conclusione, se si tiene conto del diverso significato che Daly assegna ai termini crescita e sviluppo (quantitativo, il primo, e qualitativo, il secondo) si può dire che in un sistema economico globale in stato stazionario, funzionante secondo entrambe le configurazioni della sostenibilità dello sviluppo, la composizione organica del livello della produzione e quella del capitale complessivo disponibile possono cambiare anche in assenza di crescita, pur in presenza di un livello del benessere crescente. La conservazione di un “universo fisico” tendenzialmente costante richiede quindi un livello di produzione sufficiente a reintegrare la variabile demografica, con costi di reintegrazione azzerati o, al limite, minimizzati.
E’ possibile rendere compatibile il funzionamento di un sistema economico, secondo le ipotesi della sostenibilità proposte da Daly, con la crescita del livello del benessere dei componenti l’intero sistema sociale globale? Una risposta affermativa all’interrogativo implica che si valuti quanto sia desiderabile lo stato stazionario, senza compromettere la possibilità di un benessere individuale crescente, in assenza di un’aumentata dissipazione delle risorse disponibili.

Occorre tuttavia riconoscere che quella di Daly è una prospettiva di approccio ai problemi ambientali sulla quale graverà, considerata la pervasività degli attuali valori condivisi, la probabile mancata disponibilità dei popoli ad accettare gli scenari implicati dall’istituzionalizzazione di un sistema economico globale funzionante in regime di stato stazionario.