Speranza: più fondi per la Sanità, a versarli saranno le banche

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Portare da 114,5 a 118 miliardi il finanziamento della sanità pubblica, cancellando il superticket da 10 euro su visite e accertamenti, dando al contempo il via a un grande piano di assunzioni. Il tutto facendo pagare il conto a banche, assicurazioni e fondi di investimento. Il neo-ministro della Salute Roberto Speranza dice di dover “ancora mettere la testa sulla sanità perché la mia nomina è arrivata inaspettata”. Ma poi precisa che “la priorità qui come altrove è ridurre le disuguaglianze rafforzando il sistema pubblico”. “E su come farlo – aggiunge – qualche idea è già nel disegno di legge che ho presentato un anno fa alla camera”.

L’unico ministro targato LeU del Conte-bis è un politico puro, ma nel suo staff ha chi di sanità ne mastica da anni e sa che quella del miglior sistema sanitario universale sostenuto dalla spesa più bassa del mondo occidentale è una favola alla quale gli italiani, stressati da liste d’attesa e sempre maggiore spesa privata, credono sempre meno. Per questo è pronto a proporre una svolta per rifinanziare sul serio il Servizio sanitario. La “quota 10” proposta da Zingaretti, ossia i miliardi in più da destinare alla sanità nel prossimo triennio, per il neo titolare della Salute si può raggiungere facendo fare già il prossimo anno un balzo in avanti da 4,5 miliardi al Fondo sanitario. Mica pochi in tempi di stagnazione economica e con 23 miliardi da raggranellare per evitare l’aumento dell’Iva. Ma le coperture Speranza, nel suo disegno di legge, le ha trovate già e a pagare il conto sarebbero banche, assicurazioni, fondi di investimento e società di intermediazione mobiliare (Sim). Come, lo spiega nel dettaglio Speranza, che nel disegno di legge prevede “la riduzione della quota di interessi passivi deducibile ai fini Ires e Irap per le banche, che dall’attuale 100% passerebbe all’82%, mentre dal 96 all’82% si ridurrebbe quella di assicurazioni e fondi di investimento, mentre verrebbe fissata all’82% quella delle Sim”.

Vita breve dovrebbe avere il superticket su visite specialistiche e accertamenti, che in aggiunta alle singole quote dovute per ciascuna prescrizione oggi produce costi a carico degli assistiti a volte più alti di quelli praticati nel privato. Fatto che genera anche un ulteriore impoverimento del servizio pubblico. Per questo Speranza propone di cancellare il balzello, che genera un gettito di soli 600 milioni. Soldi che il testo firmato dal ministro racimola dal maggior gettito fiscale generato dall’abrogazione della deduzione forfettaria dei canoni di locazione delle “dimore storiche” che è del 35%. In tutto 545 milioni detratti da chi sicuramente non se la passa male avendo da incamerare affitti su residenze di prestigio. Altri 60 milioni sarebbero invece già stati stanziati dalla legge di bilancio 2018 per la parziale abrogazione del superticket.

Le sorti della nostra sanità pubblica non si risollevano però senza medici e infermieri, sempre meno numerosi e arruolati “a gettone”, con quel che ne consegue in termini di qualità e sicurezza delle cure. Lo sa bene Speranza, che dopo la parziale abrogazione dei vincoli di assunzione realizzata dall’ex ministro Giulia Grillo, propone un’ulteriore accelerazione assumendo sempre più professionisti in pianta stabile, recuperando metà delle risorse dalla spesa oggi sostenuta per pagare i sanitari “a tempo programmato”, con costi a volte perfino superiori a quelli necessari a retribuire un medico assunto. Il resto verrebbe dai risparmi nell’acquisto di beni e servizi e farmaci, con gare sempre più centralizzate e acquisti diretti.