Tra ministri e sottosegretari Draghi si è circondato di troppe mine vaganti

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A dispetto di un’aura seriosa e professorale, Mario Draghi non disdegna le emozioni e sa pure regalarle, come ha dimostrato nelle nomine dei 39 sottosegretari. Nel gruppone spicca, insieme a Lucia Borgonzoni alla Cultura e Nicola Molteni agli Interni, il senatore lucano Giuseppe Moles di Forza Italia con delega all’Editoria, la persona giusta al posto giusto e senza alcun conflitto d’interesse: docente in relazioni internazionali, è anche presidente della Fipm, Federazione Italiana Pentathlon Moderno, aree di passione e studio che non gli faranno spuntare la bizzarra idea di occuparsi di editoria, comunicazione e tv, compito al quale si dedicherà in sua vece Silvio Berlusconi. Un suo precedente incarico come assistente dell’ex ministro della Difesa, Antonio Martino, aveva suscitato qualche malumore, essendo Moles a giorno delle questioni internazionali, ma tutto si è risolto e da sottosegretario avrà modo di tener la testa sgombra da strane idee, come l’indipendenza e la terzietà richieste in un governo di unità nazionale.
A volte ritornano

Nicola Molteni da Cantù, salviniano d’acciaio riemerge dopo l’esperienza del Conte I. Ai tempi già firmatario dei decreti sicurezza, ha preso il posto di Matteo Mauri, Pd, impegnato a smantellare gli stessi decreti nel Conte II. Un divertente rimpiattino politico che arriva ora al terzo atto e potrebbe regalare ai funzionari del Viminale più esperti nel cubo di Rubik il piacere unico di rimontare quei decreti che avevano appena smontato dopo averli montati pochi mesi prima. Un elemento di serenità in più in questa traversata del deserto. Ma tra i sottosegretari il gioiello è lei, Lucia Borgonzoni. Appena insediata, dopo una prima gaffe forse dovuta all’emozione (“Per la sicurezza dei motociclisti romani mi impegnerò a eliminare i Fori e asfalterò l’Appia Antica”), ha immediatamente lanciato una campagna per celebrare Dante nel settecentesimo anniversario della morte: “Non c’è opera letteraria che porti in alto il nome dell’Italia come il Decamerone”.
Il curriculum della Borgonzoni

Lucia Borgonzoni è così, un vulcano di idee anche provocatorie per certi professoroni della gauche che non sanno guardare avanti con ottimismo. Solo chi non sa apprezzare il clima di ritrovata unità nazionale sotto il vessillo di Mario Draghi può storcere il naso davanti alla sua consacrazione come sottosegretaria unica per i Beni e le Attività Culturali, carica già rivestita nel Conte I, quando si era distinta per , senza dimenticare le sue battaglie per e per . Lasciamo da parte il malanimo di quanti hanno sostenuto che era come nominare Dracula presidente unico dell’Avis e della banca del sangue e concentriamoci sul suo robusto curriculum politico.

Lucia Borgonzoni 44 anni, senatrice della Lega, a differenza di K., l’agrimensore frustrato del “Castello” di Kafka (un libro che, per sua ammissione, ha curiosamente letto in un momento di distrazione e tiene in bella mostra nella sua biblioteca di sedici x dodici centimetri), non attende invano una chiamata dal Potere. Lei non aspetta, ottiene in quanto fedelissima di Salvini, un ruolo delicato, quello di “fedelissima di Salvini”, che ricopre fin da quando era diventata leader dei Giovani Padani, dopo essersi forgiata in una dura milizia in territorio ostile: Bologna. Candidata a sindaco del capoluogo emiliano nel 2016 e a presidente della Regione nel 2020, ha regolarmente ottenuto quello che si era meritato: due bocciature cercate con tenacia e applicazione, collocando Trentino e Umbria tra le regioni confinanti con l’Emilia Romagna e promettendo, una volta eletta, “ospedali aperti di notte” (come è noto la disastrata sanità emiliana obbliga i nosocomi a tirare giù la saracinesca alle 17,30, chiusi i prefestivi e festivi). “Con me per curarvi non dovrete più andare in altre regioni”, aveva promesso a una platea di iscritti alla Cna di Bologna, ottenendo un lusinghiero riscontro di fischi e pernacchi, subito imputati da Borgonzoni ai soliti comunisti. “Resterò in Regione come consigliere anche se perdo e lascerò il Senato” aveva dichiarato in campagna elettorale, un proposito mantenuto coraggiosamente fino al confronto tra le due buste paga.

D’accordo, abbiamo scherzato. Rimane il fatto che nel governo Draghi sono state inoculate alcune mine a tempo. Salvini sembra deciso a riscuotere per il suo appoggio, interpretando il ruolo che più gli è congeniale, quello di sobillatore-dichiaratore esterno. Infine, emergenza nazionale o meno, è stata ribadita l’assoluta impossibilità scientifica di trovare per l’Italia un vaccino anti-Cencelli.                         Di Andrea Aloi