Le trimestrali delle big-tech USA continua a sorprendere positivamente battendo sonoramente le attese. Ad esempio, in termini di ricavi, Apple ha battuto le attese di oltre $8 miliardi ($81.4 vs $73.3), Alphabet di quasi $6 ($61.2 vs $56.2), mentre Microsoft di $2 miliardi ($46.2 vs $44.2).
Sugli utili vale lo stesso discorso (Facebook ha raddoppiato l’utile rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e segnato +20% vs attese), con le aziende che hanno sorpreso positivamente in doppia cifra. Dopo aver beneficiato del lockdown, il settore tecnologico sembra giovarsi anche della ripresa dell’economia. La reazione negativa del mercato è stata tuttavia innescata dai deludenti outlook forniti dalle società stesse in merito all’andamento del fatturato per i prossimi trimestri, dove viene indicata, in alcuni casi, “significativa decelerazione” del ritmo di crescita. Questo potrebbe costituire un fattore di nervosismo per i mercati che invece scontano sviluppi molto positivi e un campanello di allarme sulla sostenibilità di certi ritmi di crescita.
La settimana ha poi riservato un aggiornamento importante sulla crescita economica negli USA con la pubblicazione del dato del PIL relativo al Q2, cresciuto, con estrema sorpresa negativa solo del 6.5% t/t ann, molto meno dell’espansione pari a +8.5% stimata in media dagli analisti. La negatività è però solo apparente, mentre nelle pieghe i dati sono più positivi: le spese per consumi sono molto forti (letteralmente volate dell’11.8%), mentre a contribuire negativamente sono state le spese governative (diminuite dell’1.5%), le scorte (basso accumulo per via delle difficoltà e delle interruzioni nelle catene produttive che a malapena soddisfano l’eccesso di domanda repressa) e il canale estero (gli americano hanno speso importando beni gran parte ei trasferimenti federali). Unico aspetto veramente negativo resta l’investimento in immobiliare.
Chiudiamo con una breve considerazione sui tassi reali USA 10Y, crollati questa settimana a – 1.17%, ovvero sotto i livelli toccati durante la pandemia. Dovendo essi riflettere la crescita economica di medio periodo il calo è stupefacente. Alcuni analisti osservano però che il QE ha investito anche i treasury legati all’inflazione, rendendo l’offerta netta molto negativa e riducendo la liquidità di questa asset. La domanda ha quindi fatto salire i prezzi (comprimendo i tassi reali) e salire anche i breakeven. Il fatto che i titoli di stato siano un tool di politica monetaria ha generato uno scollegamento fra i tassi reali e quello che loro implicano a livello macroeconomico. Riteniamo pertanto che tassi reali così bassi (e negativi, ovvero trattandosi del rendimento nominale “meno” attese di inflazione), non siano attraenti da comprare in questa fase.


