Tutto il campo progressista ora colga le opportunità aperte da Enrico Letta

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Dunque Enrico Letta, come facilmente prevedibile, è stato eletto segretario del Pd nel corso di una assemblea nazionale senza dibattito e senza un intervento da parte del segretario dimissionario Nicola Zingaretti; il Pd continua a voler restare un partito anomalo dove più che il dibattito contano i posizionamenti interni e il voto, spesso un voto a prescindere per utilità di corrente o personale. Proprio quello che Letta nel suo intervento ha dichiarato di non volere, di non cercare in un unanimismo di facciata a discapito della verità che può essere volano di un confronto sano e sincero tra le diverse componenti del partito. Ma è chiaro che il Pd non può cambiare dalla sera alla mattina e il peso di questo suo essere autoincentrato non può certo diminuire in un battito d’ali.

L’Enrico Letta che si è presentato all’assemblea nazionale è apparso diverso da quello che aveva lasciato la politica e l’Italia dopo essere stato “rasserenato” da Renzi e da chi nel Pd aveva ceduto all’avanzata del “nuovo” e alla sua scalata, oltre che al partito, al governo del Paese. È apparso un Enrico Letta più maturo, più consapevole che la politica ha un senso se vissuta e sviluppata nel mondo reale piuttosto che nelle ormai solite e tradizionali “stanze chiuse”, che ha dipanato, oltre a una chiara volontà di essere eletto per una segreteria piena e non come traghettatore, un programma di punti in larga parte condivisibili dallo Ius soli alla parità di genere salariale, con un’impronta decisamente europeista e con, particolare non affatto secondario, un allontanamento dalla nefasta vocazione maggioritaria del partito aprendo, anzi indicando decisamente, la strada della costruzione di una coalizione non solo in grado di tenere botta alla destra nostrana, ma di riuscire ad essere in grado di risultare degna del governo del Paese.

Il Partito democratico senza dubbio è indispensabile in una coalizione di centro-sinistra democratica, antifascista e progressista che voglia presentarsi come un insieme capace di governare, ed è logico che sia stato rivendicato il suo ruolo di perno in essa con l’auspicio di un confronto con il Movimento 5 Stelle che a sua volta sta tentando di cambiare pelle e che ha comunque ancora in corso una difficile ricerca di identità che cerca di trovare in quella che dovrebbe essere la nuova leadership di Giuseppe Conte.

Il Pd stesso deve decidere e costruire una sua identità precisa giacché è evidente che il “partito minestrone” non regge più, che orientamenti molto distanti tra loro difficilmente possono convivere in una stessa comunità e che invece, magari, dialogherebbero meglio se ognuno stesse a casa sua con la volontà di portare nella propria autonomia il suo pezzettino di contributo e questo dovrebbe essere il senso di coalizioni larghe che si ritrovano su punti decisivi e che insieme iniziano un cammino e una elaborazione comune fatta ovviamente di compromessi e sintesi, ma con obiettivi condivisi.

Oggi chi si colloca alla sinistra del Pd ha un compito importante che è quello innanzitutto di evitare di stare alla finestra aspettando quello succede in quel partito, di cogliere le opportunità che il discorso di Enrico Letta ha delineato, di inserirsi a pieno titolo in un dibattito che riguarda tutto il campo progressista, di cogliere la possibilità di aprire un dibattito serio e sincero per costruire un cammino. Allo stesso tempo non deve assolutamente perdere di vista l’obiettivo primario, ovvero la costruzione di una forza di sinistra socialista ed ecologista che sappia delineare obiettivi e percorsi per una vera transizione nuova che unisca giustizia sociale a rigenerazione ambientale: l’ecosocialismo che può e deve essere l’unica base per una ripartenza, per dare un senso di risposta e anche di ribellione ad un sistema che non lascia spiragli per il futuro.

Per librarsi in aria la mongolfiera progressista ha una necessità: liberarsi, e in fretta, della zavorra che la fa restare ancorata al terreno.