Avevo un po’ di timore ad avvicinarlo perché sapevo quanto fosse vasta la sua cultura. “Il nome della rosa” è forse il suo romanzo più noto. Chi non ha letto il libro ha potuto vedere il film che ha avuto uno straordinario successo. L’ intrigo di frati che vengono via via trovati morti ammazzati affascina anche il più distratto dei lettori, per scoprire poi che tutto gira intorno al segreto di un libro di Aristotele che parla della commedia e del riso. Questo romanzo pare abbia venduto cinquanta milioni di copie. Mi presentai quindi al cospetto del grande scrittore e semiologo con riverenza. Con un sorriso e grande affabilità Eco si informò della mia attività come se ci conoscessimo da sempre. Addirittura si complimentò per il telegiornale di Telecupole che seguiva – così mi disse – quando era in Piemonte. L’intervista filò liscia sui temi dell’attualità politica e sui suoi numerosi libri. Una polemica si accese ad un anno
dalla sua morte tra chi voleva dedicargli il liceo classico di Alessandria da lui frequentato ed amato ed il sindaco leghista che bocciò la proposta. In seguito la città ha rimediato con un’opera a led su proposta di Vittorio Sgarbi. Primo monumento luminoso nella
storia, opera dell’artista Marco Lodola. A proposito di queste vicende mi viene in mente che un giorno il commendator Costanzo Abrate, imprenditore di Cervere, mi raccontò che nella vita puoi diventare chi vuoi, anche il più importante degli uomini di affari ma, per il luogo dove abiti, tu rimarrai sempre quello che eri al momento della nascita. Se eri il figlio di Tunin, quello rimani.