Umberto Eco

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Avevo un po’ di timore ad avvicinarlo perché sapevo quanto fosse vasta la sua cultura. “Il nome della rosa” è forse il suo ro­manzo più noto. Chi non ha letto il libro ha potuto vedere il film che ha avuto uno straordinario successo. L’ intrigo di frati che vengono via via trovati morti ammazzati affascina anche il più distratto dei lettori, per scoprire poi che tutto gira intorno al segreto di un li­bro di Aristotele che parla della comme­dia e del riso. Questo romanzo pare abbia venduto cinquanta milioni di copie. Mi presentai quindi al cospetto del grande scrittore e semiologo con rive­renza. Con un sorriso e grande affabilità Eco si informò della mia attività come se ci conoscessimo da sempre. Addirittura si complimentò per il telegiornale di Tele­cupole che seguiva – così mi disse – quan­do era in Piemonte. L’intervista filò liscia sui temi dell’at­tualità politica e sui suoi numerosi libri. Una polemica si accese ad un anno
dalla sua morte tra chi voleva dedicargli il liceo classico di Alessandria da lui fre­quentato ed amato ed il sindaco leghista che bocciò la proposta. In seguito la città ha rimediato con un’opera a led su proposta di Vittorio Sgarbi. Primo monumento luminoso nella
storia, opera dell’artista Marco Lodola. A proposito di queste vicende mi viene in mente che un giorno il commendator Costanzo Abrate, imprenditore di Cerve­re, mi raccontò che nella vita puoi diven­tare chi vuoi, anche il più importante de­gli uomini di affari ma, per il luogo dove abiti, tu rimarrai sempre quello che eri al momento della nascita. Se eri il figlio di Tunin, quello rimani.