Un futuro da costruire

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La composizione sociale e le propensioni politiche della società italiana non differiscono da quelle europee. La gran parte della popolazione è reazionaria, cioè si aspetta dall’amministrazione pubblica vantaggi per sé sul proprio avversario di classe, mentre una nutrita minoranza è conservatrice, ossia è gelosa dei risultati già conseguiti. I rimasugli radicali che prefigurano sovvertimenti sociali non sono così numerosi da impensierire. Nel passato della Repubblica la maggioranza reazionaria (quella più propensa a qualche cambiamento) era ingabbiata tra DC e PCI, la cui composizione elettorale differiva solo per il grado di liquidità del voto. Ma l’illusione che il voto in Italia fosse ancora deciso dai grandi elettori sparì col Referendum del ’74, quando l’elettorato di destra sciolse i legami con il voto conservatore e assunse l’aspetto attuale della liquidità del voto reazionario.

Dalla crisi dei partiti, incapaci di intercettare il cambiamento sociale, guadagnarono prima la lega e poi Berlusconi e le sue alleanze. Fino a quando la crisi economica del decennio passato non li ha cacciati a furor di popolo. Il mondo radicale che è emerso da questo mutamento s’è fatto strada in primo luogo tra l’elettorato reazionario orfano di capi. Ma i nuovi portavoce selezionati hanno terrorizzato l’establishment che ha temuto di perdere i referenti politici per la cura dei propri interessi. I nuovi venuti e la loro onestà hanno minacciato seriamente di rallentare i motori della disuguaglianza.

Ma proprio la liquidità, che è poi l’incapacità di autocollocarsi del voto reazionario, ha portato all’equivoco del 4 marzo. La politica italiana, tradizionalmente divisa tra una sinistra conservatrice e una destra reazionaria, ha dovuto cedere la maggioranza relativa ad un’organizzazione radicale come il M5S. Purtroppo le regole della democrazia hanno generato false alleanze col solo intento di asciugare il voto radicale. E allora l’equivoco di marzo ha dovuto essere risolto, come dimostra la lotta fratricida all’interno del Movimento, che è chiamato a decidere il senso preciso della sua azione politica.

Ciò che oggi resta al radicalismo è uno spazio angusto dove i partiti della sinistra soffrono la stessa crisi che ha travolto il Movimento. Il senso della lotta sociale e politica è l’indicazione che gli elettori aspettano da quest’area. Non saranno provvedimenti civili o addirittura neutri a determinare la loro scelta. Non lo jus soli o l’indefinita parità di genere, né la connettività o la rivoluzione ecologica a far vincere l’alternativa alla destra reazionaria e populista. Saranno una precisa indicazione di politiche sociali, la riduzione del peso della disuguaglianza a decidere del successo politico della nuova area. Sarà il parlar chiaro a determinare la scelta: ‘i sord’, addò vann’?                                                                    (Giuseppe Di Maio)