UN UOMO IN MUTANDE CHE TIMBRA IL CARTELLINO E’ UN “FURBETTO DEL CARTELLINO”?

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Le immagini non spiegano. Le vediamo e non è vero che capiamo. Non capiamo nulla.
La foto di un uomo in mutande che timbra il cartellino cosa spiega? Nel 2016 a tutta la nostra classe dirigente (politici e intellettuali) sembrò una foto simbolo, capace di carpire l’anima di una figura quasi mitologica, il lavoratore pubblico, ormai trasformato in “furbetto del cartellino”.
La foto, secondo Renzi e tutto il codazzo di politicanti nostrani, spiegava. Spiegava che i lavoratori pubblici sono dei fannulloni e dei truffatori. Era evidente, cristallino. Non c’era bisogno di null’altro. Si poteva partire, affondare ulteriormente il coltello nella carne di milioni di lavoratori pubblici. E così hanno fatto.

Peccato che un’immagine non spieghi da sé. C’è bisogno di allargare la visuale, osservare e comprendere il contesto. Così, ad esempio, avremmo saputo che Alberto Muraglia, questo il nome del lavoratore immortalato mentre timbra in mutande il proprio cartellino, si svegliava tutti i giorni alle 5:30 perché aveva anche la mansione di aprire il mercato Annonario (in cambio poteva stare a titolo gratuito nello stabile del mercato stesso). Poi alle 6 entrava in servizio: timbrava il cartellino, indossava la divisa e andava a svolgere la sua seconda mansione. Regolarmente autorizzato dal comandante della polizia locale. Ecco il perché delle mutande: il “tempo-tuta”, ovvero il tempo di vestizione e svestizione, è considerato tempo di lavoro, retribuito.

Alberto Muraglia è stato assolto, perché “il fatto non sussiste”. Posso solo immaginare l’incubo di cui è stato vittima in questi 4 anni. Messo alla berlina, sulla bocca dell’allora Primo Ministro, il garantista solo quando si parla di sé Renzi.
Il problema di fondo però resta. Perché l’assoluzione in tribunale arriva a 4 anni dalla condanna quasi unanime dell’opinione pubblica. In pochi leggeranno questa nuova notizia. Servirebbe una campagna pubblica e mediatica ampia e fragorosa, in cui si urli allo SCANDALO, si gridi VERGOGNA, all’indirizzo di tutti quelli che attaccano quotidianamente i lavoratori e le lavoratrici come noi. Non accadrà, è già scritto.

Però noi non dobbiamo arrenderci. Mai fidarsi quando sotto attacco finisce uno di noi, mai dare credito a chi ci odia, a chi vuole sottrarci diritti. Perché per loro l’immagine di un uomo in mutande è una clava da brandire. Non cercano la verità, non vogliono la giustizia. Ci odiano e vogliono annientarci, costringerci a camminare a testa bassa, a vergognarci, a portare su di noi lo stigma della colpa del fatto che le cose non funzionino.
Ma non è colpa nostra. I colpevoli sono loro e chi gli permette di continuare a portare avanti questi giochini, legittimandoli e ripescandoli dal baratro in cui il rifiuto e l’indignazione popolare dovrebbero giustamente (e metaforicamente) gettarli.

da Giuliano granato del coordinamento nazionale di Potere al Popolo