Una giovane donna di appena 22 anni, una settimana fa, ha partorito in carcere

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In una cella del reparto femminile di Rebibbia.

Di notte, senza assistenza ostetrica né medica né infermieristica, aiutata solo dalla compagna di cella al quinto mese di gravidanza.
Non so, ma mi accerterò, se su questa vicenda scandalosa la responsabilità sia della magistratura o della direzione penitenziaria, so solo che la Ministra della Giustizia Marta Cartabia ha la mia incondizionata stima per la professionalità e il cuore che ci mette, e so anche che sa che il codice penale impone il differimento della pena per donne incinte o madri di minori di un anno. E che queste sono anche le raccomandazioni degli organismi internazionali sui diritti umani.
Un operatore carcerario racconta che in carcere il momento più straziante è quando i piccoli compiono tre anni. “Dopo la festa, le candeline, i palloncini, l’abbraccio della mamma, arriva qualcuno e li consegna al padre o al nonno o alla casa famiglia.

Così pensano che diventare grandi significa essere infelici, e quella sì che è una condanna a vita”.
In parlamento c’è un disegno di legge che prevede il divieto assoluto di custodia cautelare in carcere per donne incinte o con figli fino a 6 anni (salvo esigenze di eccezionale rilevanza).
Credo debba diventare legge dello Stato.

Di uno Stato Civile.

Davide Faraone