Uno, Walter e centomila

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Lo sospettavamo da anni, ma gli ultimi mesi ce l’ hanno confermato: Walter Veltroni ha un gigantesco problema con il tempo libero. Forse non si diverte con gli amici (se frequenti gente del Pd può anche capitare) o magari non gli funziona Internet per vedere le serie in streaming. O forse, poveretto, ha comprato un divano scomodo e gli riesce difficile rilassarsi.

Sia quel che sia, qualcosa non va. A testimoniarlo c’ è una massa di lungometraggi, editoriali, libri, interviste (raccolte e concesse), apparizioni tv, varie, eventuali e superflue. In pratica, ogni mattina, Veltroni si alza e sa che dovrà correre più di una gazzella e di un leone messi insieme per sbrigare tutte le incombenze di cui si è fatto carico: troppe per un sol uomo. Viene da immaginarsi Walter Veltroni come Willy Wonka: nella sua fabbrica assieme a una marea di Umpa Lumpa che scrivono romanzi, battono articolesse, girano documentari e firmano prefazioni. Uno, Walter e centomila.

Il risultato è una angosciante invasione degli Ultraveltroni: accendi la tv sulla Rai e lo trovi a concionare di politica; metti su La7 ed eccolo di nuovo a commentare una partita di calcio; passi su Sky e mandano il suo docufilm; ti rifugi su Netflix e trovi il film L’ isola delle rose: non l’ ha girato lui ma ha scritto un libro sullo stesso argomento, L’ isola e le rose. Vai all’ edicola e vedi spuntare il suo nome dalla prima dei quotidiani, compresi quelli sportivi. Se i cinema non fossero chiusi lo troveresti anche lì, in compenso sono aperte le librerie e fra gli scaffali c’ è solo l’ imbarazzo della scelta.

Nel 2020 ha pubblicato tre libri. Un giallo intitolato Buonvino e il caso del bambino scomparso (Marsilio), scritto alla velocità della luce durante il lockdown. È il seguito di una piccola serie poliziesca il cui primo volume era uscito a novembre 2019: giusto il tempo di un caffè e il nostro si è rimesso a scrivere. Poi c’ è il saggio Odiare l’ odio (Rizzoli), pubblicato a marzo. E infine la raccolta di articoli Labirinto italiano (Solferino), uscita da poco sia in libreria che in edicola con grande spiegamento di copie, per essere sicuri che nessuno se lo perda.

Riuscire a leggere tutti e tre i tomi, in fondo, non è difficilissimo. Sono circa 570 pagine in totale, ma su alcune i caratteri sono stampati grandi come i numeri sui telefoni Brondi, quindi l’ impresa non è disperata. Il più è vincere il sonno. In ogni caso, per chi avesse voglia di nuovo materiale, l’ attesa sarà breve. A gennaio è già prevista l’ uscita in edizione economica del corposo saggio Roma. Storie per ritrovare la mia città (ben 400 pagine, edito da Bur) e del romanzo per giovani adulti Tana libera tutti. Sami Modiano, il bambino che tornò da Auschwitz (Feltrinelli). Significa che negli ultimi mesi il nostro Walter ha scritto più o meno 730 pagine, cioè due pagine al giorno. Poco meno di Stephen King, che ne scrive almeno 5, ma non tutte buone.

A differenza del Re dell’ horror, tuttavia, Veltroni non si limita ai libri. Sempre quest’ anno ha girato due documentari.

Il primo s’ intitola Fabrizio De André e Pfm. Il concerto ritrovato. In pratica è la ripresa integrale di una storica esibizione andata in scena il 3 gennaio 1979 alla Fiera di Genova. Non si capisce bene perché la regia sia stata affidata al caro Walter, ma resta che il film è stato proiettato in 370 sale il 17, 18 e 19 febbraio del 2020, e ora è in vendita in dvd. L’ altro documentario, Edizione straordinaria (realizzato montando le immagini dei tg Rai degli ultimi 60 anni), è andato in onda in prima serata su Raitre agli inizi di dicembre (6,4% di share, tutto sommato dignitoso). Se pensate che tutto questo sia sufficiente, vi sbagliate di grosso. Tra un capolavoro letterario e un ciak, il nostro eroe ha trovato il tempo per un’ intensa attività culturale.

In ottobre, ad esempio, ha ricevuto il Premio alla cultura cinematografica di Gorizia. A settembre si è guadagnato il premio letterario Cimitile. Poi è stato finalista al premio di saggistica Caccuri. E nei ritagli di tempo ha presieduto la giuria del premio Clara Sereni (con Liliana Segre) e del premio cinematografico Elio Petri. Tutto questo premiare e farsi premiare, però, era soltanto un allenamento in vista di un incarico prestigioso che gli è stato conferito in questi giorni: presidente della giuria dei letterati del celebre premio Campiello.

Siamo giunti al punto che Veltroni non è più un autore, ma una filiera culturale. Potrebbe scrivere un libro; recensirselo da solo; partecipare a un premio letterario e autopremiarsi; trarre un film dal medesimo libro; recensirlo di nuovo; farlo trasmettere in tv e poi attribuirsi ancora un premio cinematografico. Si tratterebbe solo di forzare un po’ le regole, ma di sicuro non ci sarebbero problemi, dato che a Walter tutto è concesso.

Ogni sua opera, infatti, viene accolta come un capolavoro.

Mai che esca una critica negativa. Come è possibile? Il quesito è interessante.

Certo, c’ è da considerare la proverbiale piaggeria degli intellettuali italiani, ma il leccapiedismo da solo non basta. Il fatto è che le opere di Veltroni nascono proprio per questo: per non scontentare nessuno.

Il tratto caratteristico della loro personalità sta proprio nel non avere personalità: servono a fare volume, arredano.

Anche per questo Walter dà il meglio di sé quando, come autore, sparisce. Se racconta un fatto storico controverso, riesce a veltronizzarlo, cioè a fornirne una versione mediana e neutralizzante. Con lui si va sul sicuro: scrive di tutto riportando una sorta di opinione condivisa, cerca appositamente argomenti che creino una memoria comune benché asettica.

Utilizzando questo metodo, riesce a esprimersi sulla qualunque.

Collabora regolarmente con il Corriere della Sera, Sette e la Gazzetta dello Sport. Da quando Rcs è nell’ orbita Cairo, Walter è onnipresente, su carta e in video. Solo quest’ anno ha scritto diverse decine di articoli, migliaia e migliaia di battute. E poi podcast, video… Intervistato due giorni fa dalla Stampa, ha fatto sapere che si sta pure dedicando alla lettura di ponderosi tomi sul fascismo: forse ha un Umpa Lumpa che legge per lui.

Nei suoi articoli è passato da Sergio Ramelli a Gilles Villeneuve; da Hollande a Claudio Signorile. Da Woody Allen a James Blunt. Dal cardinal Ravasi a Pierfrancesco Favino: tutto fa cultura, tutto fa midcult. Muore Morricone? Ne scrive Veltroni. Muore Gigi Proietti? Ancora Veltroni.

Muore Maradona? Veltroni è pronto. Muore Paolo Rossi?

Riecco Veltroni. Il succo dei suoi necrologi, in fondo, è sempre lo stesso: «Era un grande personaggio che tutti ci ricorderemo». Pura luce riflessa.

Stessa cosa nelle interviste.

Le sue domande sono basiche: si va da «E poi, che successe?» allo splendido: «Come stai?».

In sostanza Veltroni non è un autore, è un amplificatore. La sua presenza serve a moltiplicare la visibilità, a garantire recensioni e marchette. In questo senso, egli è estremamente generoso (lo diciamo senza malizia), si mette a disposizione degli altri. È un generatore, un abbattitore.

È stato nel Pci ma non era comunista (dice), ora scrive romanzi ma non è uno scrittore, gira film ma non è un regista, firma articoli ma non è un giornalista. Ha fatto persino, qualche settimana fa, la telecronaca di Argentina-Inghilterra del 1986. Un match in diretta non riuscirebbe a commentarlo: correrebbe il rischio di dire qualcosa di non condiviso. Se gli affidassero la direzione editoriale del Corriere della Sera, come qualcuno vocifera, probabilmente farebbe pubblicare le notizie della settimana prima, per avere il tempo di filtrarle.

Dicono anche che il suo sogno proibito sia il Quirinale, e in effetti il suo incessante lavorio per creare una memoria comune, mediata e inoffensiva sembrerebbe pensato per questo. Sarebbe la sua unica, memorabile impresa: se salisse al Colle su una pila di carta, riuscirebbe ad appiattire persino quello. Francesco Borgonovo