VALTELLINA: Basta con le lacrime da coccodrillo!

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WWF, CAMBIARE VERSO ALLE POLITICHE PER FERMARE ALLUVIONI

SERVE PIANO DI ADATTAMENTO E COORDINAMENTO DELL’AUTORITÀ DI BACINO PER LIMITARE LA CEMENTIFICAZIONE E L’URBANIZZAZIONE DEI FONDOVALLE E ATTUARE INTERVENTI DI RINATURAZIONE

La crisi climatica, provocata all’azione umana, sta portando una intensificazione dei fenomeni estremi, evidenziando anche le croniche carenze del nostro territorio. Occorre finirla con le lacrime di coccodrillo e le finte soluzioni di fronte ai drammi come quello che ha colpito ieri vaste zone della Lombardia, e dare effettivo corso agli interventi per minimizzare l’impatto e mettere in sicurezza il territorio, avendo ben presenti le necessità dettate dall’adattamento. Le croniche deficienze di interventi coerenti e pensati sono sotto gli occhi di tutti, mentre non si ha notizia del varo del Piano nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) dopo la consultazione sulla prima bozza.

La Valtellina 32 anni fa fu sconvolta da un evento calamitoso che la devastò, con oltre 50 morti; a seguito di quella tragedia fu varata una specifica legge di cui porta il nome (L.n.102 del 2/5/1990) e ciò nonostante è ancora in gran parte a rischio. Sono stati spesi i miliardi di lire prima (circa 2000) e milioni di euro poi, in briglie, difese spondali, inutili dragaggi di tutti i corsi d’acqua per mettere in sicurezza le popolazioni, ma soprattutto per favorire la continua e pericolosa urbanizzazione dei fondovalle o delle aree alla foce dei fiumi, insomma in quelle aree dove bisognerebbe lasciare un po’ di spazio per poter sfogare l’irruenza delle piene.

Tutto ciò è ampiamente noto da decenni, come testimoniato da un documento del 1994* dell’Autorità di bacino del fiume Po nell’analisi degli eventi alluvionali e dei meccanismi di causa effetto da cui dipende la vulnerabilità del territorio, l’insieme delle opere di difesa sono state inserite a buon titolo nell’elenco dei fattori causali. I principali effetti negativi sul sistema idrico ad esse imputabili sono la canalizzazione degli alvei, la riduzione delle aree di espansione delle piene, la riduzione delle sezioni libere di deflusso, l’aumento di deflussi sulla rete idrica; tutti nel complesso tendenti ad aumentare il grado di artificialità del sistema ed il grado di sollecitazione dello stesso da parte dei deflussi idrici”.

Nonostante la conclamata inefficacia di questo insieme di azioni di artificializzazione del territorio e l’urgenza di avviare azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, si perpetua la distruzione dei corsi d’acqua, dragando oltremisura gli alvei, distruggendo la vegetazione ripariale e continuando a consumare suolo lungo i corsi d’acqua, come documentato dagli ultimi report di ISPRA a riguardo.

È indispensabile avviare una diffusa azione di rinaturazione del territorio, recuperando ove possibile aree di laminazione dei fiumi, delocalizzando abitazioni e manufatti dalle aree a rischio, ripristinando e rafforzando le capacità di ritenzione delle acque, soprattutto nei territori montani.

Inoltre è indispensabile che siano le Autorità di bacino distrettuale a coordinare la pianificazione e la programmazione degli interventi e non le Regioni, come avvenuto in questi ultimi anni e come si intende infelicemente confermare con un disegno di legge attualmente in discussione (“disposizioni per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la salvaguardia del territorio”). Abbiamo perso almeno 30 anni e si continua a persistere nei vecchi errori e a non applicare correttamente le direttive europee Acque (2000/60/CE) e Alluvioni (2007/60/CE).

Per quel che riguarda la crisi climatica, è bene ricordare che il 2018 è stato il quarto anno più caldo a livello globale (da quando esistono le registrazioni scientificamente attendibili dal 1880). Il record resta al 2016. La temperatura media della superficie terrestre da quando esistono le registrazioni è oggi incrementata di 1°C rispetto al periodo pre-industriale.

La concentrazione globale di anidride carbonica nella composizione chimica dell’atmosfera è salita da circa 277 ppm (parti per milione di volume) nel 1750 a 405 ppm nel 2017. Il 2018 ha visto la concentrazione a 408 ppm. Il 2016 è stato il primo anno con la concentrazione che ha superato le 400 ppm ed oggi, dall’inizio del 2019, abbiamo raggiunto in alcune giornate le 415 ppm.

Per l’Italia il 2018 è stato l’anno più caldo da quando esistono le registrazioni scientificamente attendibili nel nostro paese (dal 1800 cioè da 219 anni). Significativo il fatto che tra i 30 anni più caldi dal 1800 ad oggi 25 siano successivi al 1990 – Dati dell’ISAC-CNR Banca Dati di climatologia storica (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima). In meno di 50 anni, rispetto al 1971-2000, l’anomalia delle temperature del 2018 è pari a 1,58°C. L’aumento rispetto al periodo 1880-1909 è pari circa a 2,5°C, quindi più del doppio del valore medio globale. Una recentissima pubblicazione di illustri climatologi apparsa su “Earth’s Future” si intitola opportunamente “Concurrent 2018 hot extremes across Northern Hemisphere due to human-induced climate change”, ormai il cambiamento climatico in atto che modifica la dinamica energetica del sistema atmosferico in tempi molto brevi sta provocando effetti devastanti in diverse parti del mondo ed è indispensabile agire subito con politiche concrete ed efficaci di decarbonizzazione delle nostre economie.

* In “Iniziative urgenti d’intervento per la difesa del suolo e l’assetto idrogeologico del bacino Po” del dicembre 1994