“Vannini non è morto per il colpo d’arma da fuoco, ma per il ritardo di 110 minuti nei soccorsi”

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Sono queste le parole con cui la procuratrice generale Elisabetta Cennicola ha chiesto alla Cassazione di riaprire il processo per la morte di Marco Vannini, colpito da un proiettile da Antonio Ciontoli, che “sparò consapevolmente per uccidere”, aggiunge la procuratrice.

Era la notte di maggio del 2015. Ladispoli. Uno sparo gli ha trapassato cuore, polmone, costola e si è fermato sotto i muscoli del petto. Marco si sarebbe salvato se lo avessero soccorso. Ma così non è stato.

Antonio Ciontoli, condannato in appello a 5 anni con una importante riduzione della pena rispetto ai 14 del primo grado, riandrà dunque a processo. Questo ha deciso la Suprema Corte. Che ha confermato le condanne per i due figli e per la moglie.

Perché invece di fare il tentativo di salvare Marco hanno perso tempo cercando di proteggere il padre.

Riaprire il processo, per la famiglia di Marco e per tutti noi che crediamo nella giustizia, significa poter dare nuovamente occasione alla verità di essere accertata, definita. E a chi ha ucciso Marco di scontare quanto previsto dalla legge.

Siamo al fianco di tutta la famiglia, che in questi anni ha sopportato menzogne e ingiustizie. E che finalmente oggi può dire di credere nuovamente nello Stato di diritto.

Marco Furfaro