Vittorio Feltri: “Il linguaggio dei ragazzini è da brivido”

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«Puscialo, puscialo, puscialo». Questo grido belluino mi ha accolto nel salotto presidiato da un truppa di nipoti seduti intorno alla PlayStation come pellerossa in adorazione del totem. Sullo schermo della tv, passa un frenetico videogioco di guerra, roba così veloce da far venire le vertigini. I bambini mi vedono entrare e si bloccano un attimo. «Che cringe», commenta il più piccolo.

«Dai, ne dobbiamo killare ancora due», dice il più grandicello, e tutti quanti ricominciano a urlare come ossessi. Me ne vado un po’ perplesso. All’ora dell’aperitivo torno e trovo i nipoti impegnati nella seguente conversazione: «Bro, quella busta che si crede una fashion blogger chatta tutto il tempo ma non con me» «Frendzonala (o friendzonala, mah) al più presto, frate» «Frate, è meglio se le fai capire che chittese». Mi accendo una ciospa, cioè volevo dire una sigaretta, e chiamo a raccolta i ragazzini.

«Per favore, spiegatemi cosa cavolo state dicendo». Loro non capiscono. Gli sembra di esprimersi in modo del tutto normale. Spiego che voglio conoscere il significato di alcune parole che mi risultano oscure. Ecco i risultati della mia piccola indagine sul campo. Sul far dell’adolescenza, i giovanotti perdono l’abitudine a parlare la lingua italiana e assumono quella di costruire frasi elaborate in un gergo ermetico. Solo un iniziato è in grado di comprendere. A occhio, il vocabolario è costituito così: un terzo di parole provenienti dai giochi elettronici, spesso adattamenti italiani di termini inglesi; un terzo di espressioni prelevate dai testi delle canzoni rap; un terzo di lessico in uso nei social network.

Discorso a parte, nella comunicazione non verbale, meriterebbero le faccine chiamate emoticon che si allegano ai messaggi e a volte sono i messaggi stessi. Alcuni linguisti considerano quei disegni alla stregua di geroglifici, un modo di scrivere antico-moderno, quindi. Ma lasciamo perdere, il discorso ci porterebbe troppo lontano, basti sapere che la chiocciola che usiamo nelle email ha una storia addirittura millenaria, come il cancelletto (il primo cancelletto risale addirittura a 40mila anni fa, come dimostrato dagli studi di Massimo Arcangeli). «Pusciare» dunque significa «Attaccare» dall’inglese to push, spingere. «Cringe» sta per imbarazzo ed è una parola inglese a tutti gli effetti. «Killare» vuol dire uccidere, dall’inglese to kill.

«Bro» è l’abbreviazione di «brother» e «frate» ne è la traduzione: significa fratello, ed è il modo in cui, nei ghetti, gli afroamericani si rivolgono l’uno all’altro. «Busta» non è niente di bello, specie se riferito a una ragazza, ai miei tempi si diceva «cozza». «Frendzonare» è l’effetto prodotto da frasi come: «Tu per me sei soltanto un amico». «Chittese», che arriva dritto dal romanesco, è il modo meno gentile di «frendzonare» qualcuno, facendogli capire che proprio non interessa. E il corteggiamento finisce lì, con la retrocessione da aspirante moroso a compagno di chiacchiere più o meno significativo. «Chattare» è l’attività di scambiarsi messaggi ininterrottamente in Rete. Avanti per ore, peggio delle telefonate vere e proprie.

La “fashion blogger” è l’icona di stile e di moda creata dai social network. La cremonese Chiara Ferragni, ad esempio, appartiene alla categoria, ed è tra le più note al mondo. La sua fortuna è legata alle foto “postate”, cioè pubblicate su Instagram, un social network fondato più sull’immagine che sulla parola. Ha dato vita anche al modo di dire «instagrammare». Scialla, comunque. Sono riuscito a farmi spiegare tutto senza dover guglare ogni parola. E adesso sto ‘na crema e mi sento molto swag. Se qualcuno dovesse spizzare il mio profilo facebook non potrebbe che likarmi, a meno che non sia uno snitch che non shara anche ciò che deve.

Traduzione: tranquilli, comunque. Sono riuscito a farmi spiegare tutto senza controllare il significato di ogni parola su Google. E adesso sto benissimo e mi sento molto originale. Se qualcuno dovesse osservare con attenzione il mio profilo facebook non potrebbe far altro che mettere un “mi piace”, a meno che non sia un infamone che non condivide anche ciò che deve. Dopo una lunga lezione, ora sono in grado (quasi) di comprendere una intera conversazione tra quattordicenni. Il gergo è moda, ma anche un segnale di riconoscimento, di appartenenza alla medesima tribù. Poi passeranno gli anni, e i ragazzini diventati adulti torneranno, si spera, all’italiano. Anche se mi assicurano che ci sono trentenni rivelatisi incapaci di recuperare la “normalità”.

Non posso che provare “cringe” per loro… Per dimostrare ai nipoti quanto avessi imparato, mi sono congedato in questo modo: «Raga, adesso purtroppo devo piottare al giornale» (ragazzi, adesso purtroppo devo correre al giornale). «Vi lascio la mancia per i vostri servigi». Appoggio qualche banconota sul tavolino. Loro mi guardano e sorridendo mi rispondono: «Grazie del cash, zio». Ma come zio? Vabbè lasciamo perdere.                                                                                                                                       (Vittorio Feltri – Libero Quotidiano)