Zingaretti dai dem Usa: “Clinton verrà in Italia per darci una mano”

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II sogno americano del Partito Democratico è l’abbraccio a Capitol Hill fra Nicola Zingaretti e Nancy Pelosi, la leader dem che a 79 anni suonati non ha ancora mai ceduto agli affondi di Donald Trump e ora è pronta a inchiodarlo al peso delle sue azioni con l’awio dell’inchiesta d’impeachment: «Abbiamo ribadito che in un momento di grande turbolenza l’Alleanza Atlantica va rafforzata». E poi la stretta di mano con l’ex presidente Bill Clinton, il drink serale nella residenza del sindaco di New York Bill De Blasio. E la discussione alla Casa Bianca con alcuni mèmbri del Consiglio di Sicurezza nazionale sui dazi alle auto europee che ora potrebbero colpire pure l’Italia: «Sarebbe l’ennesimo grave errore».

Senza dimenticare l’incontro, calorosissimo, con gli iscritti al circolo Pd di New York e gli altri in collegamento via Skype da mezza America e perfino dal Canada: «Uniti siamo il pilastro della resistenza alla destra. L’alternativa alla cultura dell’odio di chi usa i problemi della gente per i propri scopi, senza preoccuparsi di risolverli».

È un viaggio alla ricerca di nuove alleanze la due giorni americana del segretario del Pd: «Qui per ricostruire un network e scambiare idee» dice a Repubblica nella hall di un hotel affacciato su Dupont Circle, nel quartiere della ambasciate di Washington. «Il rapporto fra democratici italiani e quelli americani è importante perché ci candida a essere baricentro di una grande alleanza che impedisca alle destre di vincere ancora». E pazienza se le beghe di casa nostra lo inseguono perfino all’ombra di Capitol Hill, l’edificio neoclassico dove hanno sede i due rami del Congresso, simbolo della democrazia americana. Il leader del Pd dice di non essere turbato dalle tensioni sulla finanziaria: «Non drammatizziamo. La maggioranza si compatterà su un punto di sintesi e sosterrà il governo». Parla anche dell’Ilva: «II premier sta combattendo per non far chiudere l’azienda, cercando tutte le soluzioni possibili pronto a mettere sul tavolo del confronto il peso del governo sostenuto da tutti».

Per la prima volta negli States da quando è alla guida del Pd, Zingaretti dice d’altronde che dei dem americani gli piace proprio la capacità di «discutere, confrontarsi, sfidarsi. Per poi agire uniti, sostenendo precise proposte». Ne ha parlato con Bill Clinton, nei 50 minuti trascorsi nell’ufficio newyorchese al 1633 Broadway: «Ci siamo confrontati su come ricostruire la speranza contro la cultura della paura. Verrà in Italia entro l’estate, per dare un contributo al nostro progetto politico». Trova anche il tempo di rispondere alle domande dei militanti del circolo Pd riuniti nella saletta sotterranea del vecchio ristorante Capri al 145 di Malburry Street a New York, ultimo avamposto di quella Little Italy che ha ormai lasciato il posto a Chinatown. Mario da Montreal racconta che i suoi figli sono cittadini canadesi e chiede perché l’Italia è ancora lontana da una legge sullo ius soli: «Questo è un governo di coalizione» risponde il segretario. «Il Pd combatterà in quel senso. Ma iniziamo dallo ius culturae, la cittadinanza a chi da noi ha studiato».

Anticipa poi le novità del nuovo statuto e l’app, «una tessera digitale, che permetterà di partecipare alle decisioni strategiche». Un solo rimpianto: «Se non fossi qui, sarei andato a Milano a manifestare la mia solidarietà a Liliana Segre. È un punto di riferimento per la democrazia nel nostro paese. La vedrei benissimo nel ruolo di presidente della Repubblica.